“I grani antichi sono altissimi, si muovono verso l’alto e il sole, per poi cadere a terra come fanno le api. C’è un dualismo fra le due creature che confluisce fino a dire che, come il miele, anche il chicco di grano è una goccia di sole!” A parlare è Bonetta Dell’Oglio, chef internazionale tra i più grandi del panorama attuale, aperta, sensibile ed entusiasta della propria terra, la Sicilia, in grado di poter offrire una gamma ricchissima di prodotti di alto livello agroalimentare, pur rimanendo al passo coi tempi e con l’arte culinaria. La chef anticipa a b-hop la notizia dell’apertura, il 18 giugno, di Cala Luna a Cefalù, un ristorante di nuova generazione che utilizzerà grani antichi.
”Sono patologicamente legata alla mia terra e alla nostra cultura, siamo un micro continente che continuo a portare nei piatti di tutto il mondo, adeguandoli alle risorse locali”, racconta.

La sua esperienza di grani antichi ha radici profonde e l’ha portata fin negli Stati Uniti, dove li ha sperimentati insieme alla rivoluzione gastronomica condotta a suon di vegetali locali e punti fermi come l’olio extravergine d’oliva. “La bellezza e la ricchezza siciliane sono state custodite da poche persone di grande intelligenza e cultura ed hanno resistito anche grazie ad alcune realtà come la stazione di granicoltura di Caltagirone, dove il Professore De Cillis custodì ben 52 varietà di durum. Oggi panificatori famosi come Gabriele Bonci a Roma o Davide Longoni a Milano li utilizzano con grande successo”.
“Con il grano ho giocato tantissimo! L’ho trasformato in tutte le forme e tutte le elaborazioni possibili: dalle chips al gelato, integro, raffinato o spezzato. Ho iniziato il mio percorso di biodinamica partendo nel 2004 con la pedagogia steineriana, proseguendo ad applicarla anche nella vita privata. Ho vissuto intensamente l’applicazione dei metodi e la formazione di una nuova cultura, anche grazie alle persone che mi hanno affiancata e che si sono sempre occupate di agricoltura, dalla produzione del vino a quella dell’olio”.
Bonetta continua a viaggiare per il mondo ma l’amore per la sua terra la riporta sempre a casa. Si avverte un grande divertimento nel suo lavoro, grazie all’elasticità dei territori e la dedizione della popolazione.

“Stiamo vivendo un’epoca balorda ma la bellezza e la ricchezza siciliane sono state gestite dalla popolazione con tanta e tale intelligenza da mantenersi integre negli anni. Le coste ricchissime di pesce, il sambuco che fiorisce a maggio. Tutto parla di magia. Se essere chef donna ai miei livelli è una sfida durissima da affrontare, trovo conforto e ristoro nella mia terra natìa. Le Basse Madonie sono posti vocati, luoghi in cui si percepiscono le fate! E’ proprio qui che sto lavorando al “Cala Luna” di Cefalù; aprirà a breve e lo voglio come un luogo di riposo, di vacanza, grandi letti sulla discesa che porta al mare, dove consumare cesti da picnic, ricchi dei più raffinati gourmet ma goduti nella natura più bella d’Italia, insieme al collega Gabriele Rizzo, giovanissimo chef emergente!” Uno dei piatti di punta sarà la “Cupola araba” versione terra a base di: spezzato di Bidì, pangrattato di Tumminia, ortaggi di stagione e latticello di Vadtedda del Belice.
Bonetta sogna anche un festival per i secondi chef che troppo spesso lavorano nell’ombra, pur se con competenze eccellenti; il passo successivo sarebbe un’Accademia per formare i giovani per i quali è già stata ed è tuttora mentore in più occasioni. Ha instancabilmente esportato dei cereali originali, introducendo tanti chef al loro utilizzo.
Parlare dell’associazione Simenza con Bonetta è imprescindibile, perché se lei è madre de “La rivoluzione in un chicco”, pensiero filosofico applicato alla cucina, Simenza è un raro caso di pensiero comune, di aggregazione tra produttori e trasformatori di materie prime altamente selezionate di origine biologica e controllata, al quale non poteva rifiutare di partecipare.
L’obiettivo è far nascere corporazioni di specializzati, costituito per un 60% da agricoltori e trasformatori, per fare in modo che il DNA del prodotto sia autentico e così realizzare il sogno di un’isola, la Sicilia, interamente coltivata con Agricoltura Organica Vivente. “Se lo Slow food è stato un percorso bellissimo ma anche fatto di sofferenza – dice la chef -, Simenza va fatta crescere, incrementando la generosità di persone che lavorano dietro le quinte e che tutti i giorni accettano la sfida tra uomo e natura. E’ una sfida durissima, in cui spesso le aziende chiudono pur di portare avanti un progetto di ricerca della purezza del prodotto. Solo attraverso questo movimento sarà possibile dare maggior libertà ai consumatori e portarli a fare scelte più consapevoli con dolcezza, perché nel mondo bisogna muoversi con eleganza”.

A collaborare con Bonetta in molti progetti è Filippo Drago, trasformatore di grani antichi siciliani con mole francesi antiche, ma integrate con macchinari di alta tecnologia.
La missione è di consentire un’attenta pulitura del chicco attraverso un sistema di “rimozione della polvere” accurato, in mancanza del quale il più avanzato impianto produttivo e grano biologico renderebbero una farina di bassa qualità. Filippo adotta il metodo con macchine Buhelr, indispensabile nei mulini a pietra, applicato al chicco vivo e ribadisce che “la pulizia del chicco è l’elemento base dell’arte molitoria”.
Purtroppo la Legge 187/2001 non regolamenta l’uso dei mulini a pietra “e questo porta ad ignorare l’esistenza dei grani antichi prodotti e meno commerciali a beneficio di artifici ed alterazioni chimiche per soddisfare le multinazionali”, sottolinea Drago.
Le farine molite a pietra sono tutto corpo perché passano direttamente dal chicco alla molitura mentre quelle commerciali sono addizionate con crusca, più economica. Sul mercato vengono impiegati grani nanizzati ai raggi gamma o fatto largo uso di glifosato, diserbante non ritenuto tossico, per seccare il grano più rapidamente; operazioni eseguite alla luce del sole e a norma di legge per migliorare la performance.
Diventa dunque fondamentale la volontà di chi porta sulla tavola il buon prodotto, senza ritoccare le farine perché anche un grano moderno se raffinato con tecniche sane può diventare una grano gentile.
Per contro, i grandi nomi della panificazione potrebbero risultare meno eccelsi se si servissero di farine non ritoccate. “Le etichette non parlano sempre correttamente a scapito della trasparenza – precisa Drago – perché possono omettere alcuni ingredienti, come l’aggiunta di glutine per una miglior resa e questo rischia di non far lavorare in sicurezza pur utilizzando farine naturali”.
Per Drago quindi, la frontiera si sposta sulla purezza dei grani, siano essi antichi o moderni, prediligendo i primi e passando ad una produzione industriale degli stessi, lavorandoli con mulini a cilindri per aumentarne la diffusione attraverso un incremento di produttività ma conservandone lo standard elevato, nella convinzione che “il prodotto è sano se è sana tutta la filiera”.
Ecco perché la sua attenzione resta comunque centrata sugli agricoltori, lo zoccolo duro e maggiormente bersagliato a causa di bassi introiti e scarso riconoscimento dal punto di vista sindacale. La panificazione non paga e il concetto che le farine da sub-fornitura siano un vanto per chi le compra e chi le usa viene ben esplicato nel libro “Pane & Marketing” di Carlo Meo. “A meno che non si diventi nomi di spicco nel settore come Gabriele Bonci a Roma, col quale abbiamo collaborato spesso, la produzione di grani antichi rischia di essere un’arma a doppio taglio perché ancora troppo legata al fresco e troppo poco alla grande distribuzione. Attualmente solo alcuni supermercati bio commercializzano prodotti a base di grani antichi.”

Ma se la sfida per i più sembra ancora in atto, per Filippo Drago il futuro appare roseo: oggi è impegnato nella produzione di Tumminia, farina inserita anche nei programmi dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano per le sue riconosciute proprietà antitumorali, all’interno del Parco Archeologico del Selinunte, vetrina di spicco e fiore all’occhiello della Sicilia.
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