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Home B.I.N. - Bellezza Interna Netta

La Roma che non c’è più nella “Guida inutile” di Stefano Caviglia

di Filippo Bocci
15 Febbraio 2021
in B.I.N. - Bellezza Interna Netta, Primo Piano
Tempo di Lettura: 5 mins read
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di Filippo Bocci – Stefano Caviglia continua a dichiarare la sua passione per la storia e per la città di Roma. Dopo Alla scoperta della Roma ebraica e il bell’affresco di a proposito del Tevere, dove oltre a raccontare il fiume denunciava il degrado delle sue acque e il soffocante intreccio burocratico di competenze, il giornalista e scrittore porta alle stampe il suo nuovo lavoro dall’originale titolo di Guida inutile di Roma – luoghi e storie dalla città di un tempo (edizioni Intra Moenia).

Caviglia ci conduce in un vero e proprio viaggio lungo il quale, dall’avvento di Roma Capitale ai nostri giorni, la città si trasforma profondamente e velocemente. Potremmo, libro alla mano, avventurarci in strada e percorrere un quadrilatero sghembo – agli angoli approssimativamente la Stazione Termini, Piazza del Popolo, San Pietro e il Colosseo – vinti dallo stupore di tanti cambiamenti, ma con la prospettiva di uno sguardo altro, in grado di vedere qualcosa che non c’è più. Una passeggiata ideale, insomma, dove bellezza e storia insieme emozionano il curioso flâneur.

Il racconto è scandito dalle voci di scrittori, giornalisti, storici, spesso testimoni diretti dei cambiamenti avvenuti. Insieme a loro, il lettore scoprirà le trasformazioni del quartiere Esquilino a partire dalla costruzione della Stazione Termini, o la distruzione dei trenta ettari del parco di Villa Ludovisi, la storica residenza nobiliare difficile anche solo da immaginare, passeggiando oggi per via Veneto.

E ancora, il nuovo assetto di Piazza Colonna o la tabula rasa di Piazza Venezia con le distruzioni sul Campidoglio per far posto al complesso del Vittoriano. I Fori imperiali, con il taglio della collina Velia che impediva la vista del Colosseo, e il vecchio ghetto letteralmente raso al suolo e ricostruito all’inizio del Novecento, e la Spina di Borgo, cancellata per far largo a via della Conciliazione: una pagina dietro l’altra come una pellicola che scorre su immagini in movimento,

immagini piene di storia e di vita, di forte impatto emotivo.

È un libro che non si lascia incasellare, una guida certo, ma anche una rigorosa cronaca di urbanistica storica, dove la penna del narratore accompagna veloce e accattivante il lettore attento, grazie anche a un poderoso supporto fotografico, frutto di sapienti ricerche negli archivi e nelle biblioteche di Roma.

B-hop ha chiesto a Stefano Caviglia:

È davvero tanto inutile la sua Guida? Le realtà scomparse di una città, cancellate dalla stratificazione dei secoli e degli anni, non sono comunque importanti per ripercorrere il cammino e orientare al meglio il destino di una città come Roma? C’è questa intenzione nel suo libro?

Il titolo mi è sembrato adatto, d’accordo con l’editore, a chiarire fin dall’inizio che

il libro parla di una Roma che non c’è più,

dunque è qualcosa più di una semplice guida. Inoltre ha il vantaggio di introdurre in modo scherzoso e leggero una materia abbastanza impegnativa. L’obiettivo è riuscire a parlare di cose importanti senza troppa solennità, cercando di coinvolgere un lettore curioso sì, ma non necessariamente a suo agio con i grandi tomi specialistici. Non per niente abbiamo puntato molto sull’integrazione fra testo e fotografie. Dunque penso che la conoscenza delle trasformazioni degli ultimi 150 anni possa certamente essere fondamentale per lo sviluppo futuro di Roma. Ma aggiungerei anche, senza andare troppo lontano, che è molto utile per capire la sua realtà di oggi. Sapere com’erano prima piazza Venezia o piazza Colonna, i Fori o il vecchio ghetto, ci fa vedere quegli spazi con altri occhi.

I ministeri di Roma capitale del Regno e poi il Vittoriano e le opere di epoca fascista, sono tutte costruzioni imponenti. Perché l’architettura romana a partire dal tardo Ottocento assume il carattere della monumentalità? C’è la volontà dello Stato, divenuto laico e liberale, di confrontarsi con il potere religioso del Vaticano? 

Un aspetto da considerare preliminare a qualunque discorso sulla Roma contemporanea è il suo valore simbolico. Il fatto che la città sia stata la meta ispiratrice di tutto il Risorgimento non può non riflettersi sulla forma e la dimensione degli edifici realizzati quando divenne capitale del Regno d’Italia. Questo implica naturalmente che qui la contrapposizione fra lo Stato e la Chiesa (che, non dimentichiamolo, all’epoca denunciava la fine del potere temporale dei papi come un crimine e un sopruso) ha assunto forme più nette che altrove. La mole imponente (diciamolo pure, sproporzionata) del Palazzaccio serve anche a marcare la discontinuità rispetto ai tempi in cui la giustizia era amministrata nel vicino Castel Sant’Angelo e le sentenze di morte eseguite nella piazza al di là del ponte.

Nonostante i suoi millenni di storia, l’afflusso enorme di visitatori, il fascino della città eterna, Roma ancora stenta a diventare una capitale moderna, come Parigi o Londra. Cosa manca?

Qui il discorso si può dividere in due. Da un lato le vicende che occupano le cronache da decenni: la cattiva amministrazione, i sindaci incapaci o distratti, lo scarso senso civico dei cittadini. Ma dall’altro c’è la difficoltà oggettiva nel governo di una città che ha una storia eccezionale anche nel periodo contemporaneo. Si dimentica spesso che Roma è passata nell’arco di un secolo da poco più di 200 mila a quasi 3 milioni di abitanti e che la sua forma precedente alla breccia di Porta Pia, con le sue magnifiche piazze, le strade tortuose e l’assenza quasi completa di arterie per lo scorrimento del traffico, era tutt’altro che funzionale alle esigenze di una capitale moderna.

Negli ultimi 150 anni Roma si è avvicinata, a prezzo di tante distruzioni, alle grandi città europee, ma non potrà mai essere come Londra o Parigi.

Questo dovrebbe spiegarlo qualunque guida, per quanto “utile” o “inutile” che sia.

***

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Filippo Bocci

Filippo Bocci

Laurea in Lettere, curiosissimo di tutto ma esperto di niente, cialtrone il giusto. Coltivo particolari feticci come la bacchetta di Leonard Bernstein, gli occhi di Bette Davis, il sorriso di Jack Lemmon. Scrivo su b-hop perché “le parole sono importanti (by Michele Apicella/Nanni Moretti). E se le usi per parlare di Bellezza fanno bene”.

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