di Filippo Bocci – Stefano Caviglia continua a dichiarare la sua passione per la storia e per la città di Roma. Dopo Alla scoperta della Roma ebraica e il bell’affresco di a proposito del Tevere, dove oltre a raccontare il fiume denunciava il degrado delle sue acque e il soffocante intreccio burocratico di competenze, il giornalista e scrittore porta alle stampe il suo nuovo lavoro dall’originale titolo di Guida inutile di Roma – luoghi e storie dalla città di un tempo (edizioni Intra Moenia).
Caviglia ci conduce in un vero e proprio viaggio lungo il quale, dall’avvento di Roma Capitale ai nostri giorni, la città si trasforma profondamente e velocemente. Potremmo, libro alla mano, avventurarci in strada e percorrere un quadrilatero sghembo – agli angoli approssimativamente la Stazione Termini, Piazza del Popolo, San Pietro e il Colosseo – vinti dallo stupore di tanti cambiamenti, ma con la prospettiva di uno sguardo altro, in grado di vedere qualcosa che non c’è più. Una passeggiata ideale, insomma, dove bellezza e storia insieme emozionano il curioso flâneur.
Il racconto è scandito dalle voci di scrittori, giornalisti, storici, spesso testimoni diretti dei cambiamenti avvenuti. Insieme a loro, il lettore scoprirà le trasformazioni del quartiere Esquilino a partire dalla costruzione della Stazione Termini, o la distruzione dei trenta ettari del parco di Villa Ludovisi, la storica residenza nobiliare difficile anche solo da immaginare, passeggiando oggi per via Veneto.
E ancora, il nuovo assetto di Piazza Colonna o la tabula rasa di Piazza Venezia con le distruzioni sul Campidoglio per far posto al complesso del Vittoriano. I Fori imperiali, con il taglio della collina Velia che impediva la vista del Colosseo, e il vecchio ghetto letteralmente raso al suolo e ricostruito all’inizio del Novecento, e la Spina di Borgo, cancellata per far largo a via della Conciliazione: una pagina dietro l’altra come una pellicola che scorre su immagini in movimento,
immagini piene di storia e di vita, di forte impatto emotivo.
È un libro che non si lascia incasellare, una guida certo, ma anche una rigorosa cronaca di urbanistica storica, dove la penna del narratore accompagna veloce e accattivante il lettore attento, grazie anche a un poderoso supporto fotografico, frutto di sapienti ricerche negli archivi e nelle biblioteche di Roma.
B-hop ha chiesto a Stefano Caviglia:
È davvero tanto inutile la sua Guida? Le realtà scomparse di una città, cancellate dalla stratificazione dei secoli e degli anni, non sono comunque importanti per ripercorrere il cammino e orientare al meglio il destino di una città come Roma? C’è questa intenzione nel suo libro?
Il titolo mi è sembrato adatto, d’accordo con l’editore, a chiarire fin dall’inizio che
il libro parla di una Roma che non c’è più,
dunque è qualcosa più di una semplice guida. Inoltre ha il vantaggio di introdurre in modo scherzoso e leggero una materia abbastanza impegnativa. L’obiettivo è riuscire a parlare di cose importanti senza troppa solennità, cercando di coinvolgere un lettore curioso sì, ma non necessariamente a suo agio con i grandi tomi specialistici. Non per niente abbiamo puntato molto sull’integrazione fra testo e fotografie. Dunque penso che la conoscenza delle trasformazioni degli ultimi 150 anni possa certamente essere fondamentale per lo sviluppo futuro di Roma. Ma aggiungerei anche, senza andare troppo lontano, che è molto utile per capire la sua realtà di oggi. Sapere com’erano prima piazza Venezia o piazza Colonna, i Fori o il vecchio ghetto, ci fa vedere quegli spazi con altri occhi.
I ministeri di Roma capitale del Regno e poi il Vittoriano e le opere di epoca fascista, sono tutte costruzioni imponenti. Perché l’architettura romana a partire dal tardo Ottocento assume il carattere della monumentalità? C’è la volontà dello Stato, divenuto laico e liberale, di confrontarsi con il potere religioso del Vaticano?
Un aspetto da considerare preliminare a qualunque discorso sulla Roma contemporanea è il suo valore simbolico. Il fatto che la città sia stata la meta ispiratrice di tutto il Risorgimento non può non riflettersi sulla forma e la dimensione degli edifici realizzati quando divenne capitale del Regno d’Italia. Questo implica naturalmente che qui la contrapposizione fra lo Stato e la Chiesa (che, non dimentichiamolo, all’epoca denunciava la fine del potere temporale dei papi come un crimine e un sopruso) ha assunto forme più nette che altrove. La mole imponente (diciamolo pure, sproporzionata) del Palazzaccio serve anche a marcare la discontinuità rispetto ai tempi in cui la giustizia era amministrata nel vicino Castel Sant’Angelo e le sentenze di morte eseguite nella piazza al di là del ponte.
Nonostante i suoi millenni di storia, l’afflusso enorme di visitatori, il fascino della città eterna, Roma ancora stenta a diventare una capitale moderna, come Parigi o Londra. Cosa manca?
Qui il discorso si può dividere in due. Da un lato le vicende che occupano le cronache da decenni: la cattiva amministrazione, i sindaci incapaci o distratti, lo scarso senso civico dei cittadini. Ma dall’altro c’è la difficoltà oggettiva nel governo di una città che ha una storia eccezionale anche nel periodo contemporaneo. Si dimentica spesso che Roma è passata nell’arco di un secolo da poco più di 200 mila a quasi 3 milioni di abitanti e che la sua forma precedente alla breccia di Porta Pia, con le sue magnifiche piazze, le strade tortuose e l’assenza quasi completa di arterie per lo scorrimento del traffico, era tutt’altro che funzionale alle esigenze di una capitale moderna.
Negli ultimi 150 anni Roma si è avvicinata, a prezzo di tante distruzioni, alle grandi città europee, ma non potrà mai essere come Londra o Parigi.
Questo dovrebbe spiegarlo qualunque guida, per quanto “utile” o “inutile” che sia.
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