(di Filippo Bocci) – Stefano Caviglia è giornalista di razza. Lavora a Panorama, e prima ancora ha scritto per altre testate come L’Indipendente e Repubblica. Mettiamoci sopra la sua passione per la storia e l’amore per la città eterna, e il prodotto finale è un prezioso volume intitolato A proposito del Tevere. Storia, bellezza e futuro del fiume che ha fatto grande Roma, da poco pubblicato per edizioni Intra Moenia, dove al rigore professionale accosta eccellenti doti di narratore.
Ne viene fuori un libro particolare nel suo genere, una curiosa, accorta navigazione tra le vicende del “Fiume”, un viaggio sentimentale prima che storico.
“Ci sono tanti punti del Tevere che mi piacciono – confida Caviglia a b-hop – tanti tratti di una bellezza particolare, ad esempio l’Isola Tiberina e il Ponte Rotto, ma anche Ponte Milvio, uno dei più antichi della città insieme a Ponte Sublicio”.
“Però – aggiunge – Ponte Sisto, riportato alla sua forma pre-ottocentesca in occasione del Giubileo del 2000, rimane forse il luogo del fiume che più mi affascina”.
Ponte Sisto
Il Tevere che tutti conosciamo ha preso la sua moderna fisionomia agli albori del secolo scorso, con la costruzione degli argini ad evitare le frequenti, temibili inondazioni.
Roma, che si affacciava direttamente sul fiume, se ne trovò di fatto separata. Il corso d’acqua che era stato il fulcro dell’espansione della città, con i suoi due porti per il trasporto delle merci, soprattutto quello di Ripa Grande a valle del suo tratto urbano, perse il suo richiamo economico.
Così l’autore commenta nel libro questa dicotomia fondamentale: “Il peggio è che quella cesura si è fatta via via più profonda e il processo di allontanamento fra la città e il suo fiume, dopo più di duemila anni vissuti praticamente in simbiosi, continua ancora oggi, senza che i romani se ne rendano conto”.
Nientemeno, è come se i romani non ricordassero più di avere questo fiume che ha segnato la grandezza della loro città; è come se nella separazione fisica determinata dalla costruzione degli argini, si fosse sedimentata una separazione mentale.
Suddiviso in tre macro capitoli, A proposito del Tevere racconta anzitutto il momento cruciale della realizzazione dei “muraglioni”; si sofferma poi sulla storia del fiume, con un taglio – questo forse il suo pregio maggiore – volutamente sospeso fra l’attenta divulgazione, l’approccio rigoroso del giornalista e la garbata affabulazione del narratore.
Le pagine sono ricche di puntuali riferimenti storici e di curiosità, talvolta leggende, piacevoli ed accattivanti. Tutto il lavoro è supportato, pagina su pagina, da un sontuoso apparato di fotografie, perlopiù dell’Archivio Storico Capitolino, la memoria visiva di una città perduta, un enorme abitato “appoggiato” sul fiume, una Roma che non esiste più, inimmaginabile anche per chi ci vive e crede di conoscerla a fondo.
L’ultimo, fondamentale capitolo, “Il Tevere dimenticato”, è dedicato ai nostri giorni, alla quantità irrisolta di problemi, al terribile inquinamento, alla sporcizia del fiume usato come discarica, ai rimbalzi di competenze da parte delle autorità preposte, ai tentativi di navigazione a scopo turistico mai pienamente riusciti.
Secondo Caviglia, “occorrerebbe individuare un soggetto unico in grado, se non di sostituire, almeno di coordinare le troppe autorità competenti”, autorità che, puntualmente e nell’ordine, troviamo elencate nel libro: la Regione Lazio, Roma Capitale e la Soprintendenza Capitolina, la Provincia di Roma, la Soprintendenza archeologica del Ministero dei Beni culturali, l’Autorità di bacino, la Polizia fluviale, la Capitaneria di porto di Fiumicino, i Vigili del fuoco.
Tante potrebbero essere le iniziative per riportare in auge il Tevere. Innanzitutto una fondamentale pulizia degli accessi e delle banchine: “Se il fiume avesse un aspetto invitante – suggerisce Caviglia – potrebbe essere frequentato in bicicletta, a piedi, si potrebbero ideare iniziative culturali, teatrali, si potrebbe pensare a ripristinare una navigazione più regolare, arrivando fino ad Ostia Antica. Si potrebbe finalmente offrire a romani e turisti un altro punto di vista. Quello dal basso, quello che passa vicino ai ponti”.
È vero che Roma non è Parigi, che dalla Senna la vedi, però ha una vegetazione così ricca che, se non fosse lasciata all’incuria rassegnata, regalerebbe un paesaggio suggestivo, un richiamo per i turisti, addirittura un volano economico, e potrebbe muovere le risorse intorno a un’area fluviale che adesso, dice icasticamente l’autore, “è solo un’oasi nel deserto”.
“Si potrebbe – insiste Caviglia – dare in concessione tratti del Tevere a privati imprenditori, a patto che si occupino della manutenzione o magari dell’illuminazione”.
“Roma certo ha problemi gravi, importanti, ed il fiume, che versa in abbandono da ormai trenta o quarant’anni, è finito sempre in fondo all’agenda di politici e amministratori”.
Solo la conoscenza della sua storia e delle sue vicissitudini possono riconsegnarlo a noi come bene pubblico e fondamentale risorsa naturale:
“Solo se comprendiamo che il Tevere è il simbolo di Roma, che il Tevere è Roma, potremo riqualificarlo e con esso la città intera”.
Stefano Caviglia
Così il giornalista affida alla comunicazione un ruolo fondamentale per la rinascita del fiume; così lo scrittore romano vuole risvegliare l’attenzione e la coscienza di cittadini e istituzioni, forse la finalità primaria di questo libro, obiettivo che ci auguriamo venga pienamente raggiunto.
Laurea in Lettere, curiosissimo di tutto ma esperto di niente, cialtrone il giusto. Coltivo particolari feticci come la bacchetta di Leonard Bernstein, gli occhi di Bette Davis, il sorriso di Jack Lemmon. Scrivo su b-hop perché “le parole sono importanti (by Michele Apicella/Nanni Moretti). E se le usi per parlare di Bellezza fanno bene”.