(di Maria Ilaria De Bonis) – Dalla Casa alla Vela, nata nel 2014, prima matrice di co-housing per anziani in Trentino, fino a Casa Cles sui monti della Val di Non, l’idea di convivenza tra persone della stessa età, superati i 70 anni, si perfeziona. Avvicinandosi sempre di più al concetto nordeuropeo di autogestione.
Questi progetti sono ideati dalla Cooperativa sociale Sad che, senza finanziamenti pubblici, rilancia nuove forme di senior co-housing adottando criteri di volta in volta differenti.
«A Casa Cles nata nel 2017, ad esempio, gli ospiti si sentono liberi di muoversi e di uscire: hanno l’animazione in piazza, le attività quotidiane come la ginnastica e soprattutto la casetta sorge nel bel mezzo del paese», spiega a b-hop Daniela Bottura, presidente di Sad.
Arredamento e design interno contribuiscono al benessere: i bagni rifiniti in legno somigliano a quelli delle baite di montagna e anche le stanze sono pensate per accogliere come se si fosse in vacanza.
Le persone, superata una certa età non vogliono più stare sole e i figli spesso non se ne possono occupare. Ecco quindi che il co-housing diventa un’alternativa.
«Qui da noi le ospiti non devono cucinare né fare la spesa perché c’è chi lo fa per loro – precisa Daniela – però se vogliono possono fare il pane assieme, aiutare a pulire le verdure, collaborare in qualche modo. Se lo desiderano mentre qualcuno cucina per loro, possono distrarsi bevendo una bibita in terrazza».
Gli ospiti sono al massimo una decina, come nel caso della Casa alla Vela, a Trento, dove l’innovazione consiste nel far convivere giovani studenti e persone anziane autosufficienti: una coabitazione intergenerazionale che ha funzionato.
Tanto che la United Nations Economic Commission for Europe ha recentemente citato la Vela tra le good practice italiane e l’ha inserita tra i suggerimenti di policy in tema di strategie innovative per l’invecchiamento attivo.
«La casa sui tre piani è divisa in due appartamenti separati, in uno ci vivono 7 studenti universitari tra i venti e i trent’anni – spiega Bottura – che se vogliono possono fare anche volontariato, nell’altra cinque anziani in co-housing».
Giovani e meno giovani si incontrano negli spazi comuni e organizzano pranzi o anche feste di compleanno. In termini di spese, le ospiti condividono i costi delle bollette, del vitto, dell’affitto e delle assistenti familiari.
Gli studenti possono beneficiare di un affitto agevolato in cambio di alcune ore di volontariato.
La terza struttura è Casa Tassullo, sempre in Val di Non, affiancata ad un centro sociale, dove, durante il giorno arrivano gli anziani che vivono da soli sulle montagne della valle e che hanno voglia di compagnia.
Il bello di queste matrici è che ci sente in famiglia: «il modello è quello patriarcale. Niente spazi spersonalizzanti o mega-strutture», dice la Bottura. In altri contesti le condizioni di vita possono diventare assai tristi accentuando anche disagi psichici e depressioni.
L’aspetto meno positivo è che finora la politica non ha sposato il modello: «nel senso che non sono previste forme di co-finanziamento, perciò è tutto a nostre spese. Gli ospiti pagano una quota che comunque non supera quella che spenderebbero se avessero una badante», spiega ancora Bottura.
D’altra parte, trovare nuove formule semi-private o di ‘secondo welfare’ per l’assistenza agli over 70 sarà sempre più necessario in Italia, dove una ricerca dell’Auser (Associazione per l’invecchiamento attivo), prevede che nel 2045 la popolazione con oltre 65 anni rappresenterà il 33,7% del totale.
Ma il nostro Paese non è pronto ad affrontare la sfida dell’invecchiamento, con un welfare che cade a pezzi: «nel quinquennio 2009-2013 in Italia gli anziani sono aumentati dell’8,6% passando da 11.974.530 a oltre 13 milioni».
Che fare allora? Finora se n’è occupata la famiglia.
Eppure oggi, una famiglia con una persona non autosufficiente a carico deve affrontare una spesa sanitaria privata pari a più del doppio rispetto alle altre.
D’altra parte «scegliere di invecchiare dove si ha una qualità della vita migliore – dice Enzo Costa, presidente nazionale Auser – è un diritto della persona, se vogliamo costruire una società che cambiando demograficamente non aggiunga solo anni alla vita ma anche qualità della vita agli anni».