di Laura Federici – E’ possibile che la passione e l’entusiasmo che mettiamo in un lavoro, in una occupazione, in una attività di volontariato, non ci faccia sentire nemmeno la stanchezza? Ci avete fatto caso, qualche
volta?
La risposta è sì. Quanto accade si chiama Biofilia.
In merito a questo aspetto, lo psicologo ambientale Stephen Kaplan, già negli anni Novanta, dà voce alla teoria sulla rigenerazione dell’attenzione che scopre essere di due tipologie ovvero quella definita “diretta” e quella chiamata “involontaria”.
Un essere umano sottoposto all’attenzione diretta, ma per un tempo prolungato, lamenta una certa fatica mentale mentre l’individuo che vive quella involontaria non sente alcuno sforzo, permettendo all’attenzione diretta di riposare al fine di rigenerarsi.
L’attenzione involontaria – detta anche “fascinazione” –
avviene quando viviamo alcune interessanti situazioni come quella del gioco, della musica, dell’ascolto o della risoluzione di storie, ad esempio.
Avviene lo stesso processo, però, anche se ci troviamo immersi in ambienti naturali o selvatici che vengono percepiti come qualcosa di rassicurante, di rigenerante e di assolutamente “familiare”.

A questo proposito, già in tenera età, laddove assente un adeguato rapporto con il mondo naturale, si va incontro al “disturbo da carenza di natura” ovvero il Nature Deficit Disorder come indicato dal giornalista americano, studioso dell’ambiente, Richard Louv.
In questo senso, l’italiano Giuseppe Barbiero spiega anche come dovrebbe avvenire una corretta attenzione verso la relazione tra esseri umani e mondo vivente – e non vivente – che lo studioso chiama “ecologia affettiva”.
Questo settore è uno dei più affascinanti dell’ecologia:
va ad investigare come l’istinto di ogni individuo lo porti ad essere attratto da tante forme di vita. In alcuni casi, affiliandosi quasi totalmente ad esse.
Si tratta di un concetto che va sotto il nome di Biophilia Hypothesis, una terminologia utilizzata per la prima volta dal filosofo e psicologo Eric Fromm e proposta, come ipotesi scientifica, da Edward Osborne Wilson, fondatore della sociobiologia, nel 1984.
Malgrado il mondo attuale sia molto legato alla tecnologia, questo istinto è ancora molto sentito nell’essere umano anche se, in alcuni casi, sembra che stia iniziando a scemare sempre di più.
Tuttavia, la stessa Maria Montessori affermava come l’architettura dell’ambiente in cui l’allievo viveva diventasse fondamentale per il suo corretto sviluppo psico-fisico, specialmente – utilizzando materiali o ambientazioni naturali.
L’importanza data agli ambienti esterni e interni, avvicina Montessori a Wilson nel concetto biofilico, per il quale questo “amore per la vita”
conduce ciascuno di noi ad essere naturalmente attratto da tutto ciò che è vivo e vitale.
Secondo Osborne proprio la biofilia spiegherebbe il motivo per il quale l’individuo ha l’atteggiamento istintivo di prendersi cura di tutto ciò che è “vivo” come, ad esempio, gli animali e le piante.

Considerando, infine, il fil rouge che lega la biofilia all’architettura notiamo come non sia necessario essere immersi in un vero e proprio contesto naturale per provare un senso di rigenerazione.
In questi ultimi decenni, in molti edifici e centri commerciali sono stati inseriti elementi come piante, alberi, fontane oppure immagini a grandezza naturale raffiguranti meravigliosi paesaggi.
Ebbene, seppure si tratti di “espedienti” del tutto artificiali, nell’essere umano, questo non fa la benché minima differenza, poiché l’effetto finale che porta sia alla concentrazione che al benessere è pressoché identico.
Concludendo,
è chiaro come fare ciò che ci appassiona, in particolare in natura, ci porti a non sentire un senso di stanchezza tale da desiderare riposo.
Avviene infatti il processo inverso: non si sente il bisogno di fermarsi e si continua ad essere pieni di energia.