di Agnese Malatesta – Donne migranti in Italia, voci di abusi e violenze subite. Testimoni di diritti mancati. Si ritrovano in un progetto – “Da vittime a testimoni. Un Tribunale delle donne per i diritti delle donne in migrazione” – realizzato da Lesconfinate e da Differenza donna che raccoglie, in un luogo simbolo come può essere un tribunale, preziose testimonianze di donne, oggetto di violazioni e violenze, perché diventino memoria storica. Un tribunale che non emette alcuna sentenza ma è luogo di denuncia e di raccolta di storie di vita che altrimenti andrebbero perse.
La prima seduta del “Tribunale” si è svolta nei giorni scorsi alla Casa Internazionale delle Donne di Roma, capofila del progetto sostenuto con i fondi dell’8 per mille della Chiesa Valdese: testimoni otto donne afghane. Tutte avevano un gran bisogno di parlare, di raccontare le loro storie, di mettere a fuoco quanto è successo e succede in Afghanistan.

Hanno riferito come, dall’agosto 2021, le loro vite si siano improvvisamente spezzate e l’unica scelta di vita è stata la fuga e l’agognato arrivo in Italia. Una scelta obbligata che le ha portate alla perdita di relazioni familiari e dei rapporti personali, di posizioni di lavoro e di studio. A ripensare e riorganizzare un’esistenza nuova.
A differenza di donne di altre nazionalità, in base alle attuali disposizioni della legislazione internazionale, non hanno dovuto aspettare troppo il riconoscimento del diritto d’asilo. Sono state sì accolte, ma al momento l’assistenza che ricevono sembra loro più una concessione piuttosto che un riconoscimento pieno.

Facilitare il riconoscimento dei titoli di studio, promuovere l’inserimento lavorativo in base alle competenze, consentire i ricongiungimenti familiari, sono minimi diritti a cui legittimamente aspirano proprio sulla base di quanto hanno subito e subiscono. Dicono:
“Non vogliamo buttar via le nostre competenze, le lauree, le nostre esperienze. Se non è così non viene riconosciuta la nostra dignità. Ci concedono solo di fare la badante o al massimo la mediatrice culturale”.

A sentire le loro testimonianze, una Commissione di ascolto, composta da avvocate, docenti di diritto, giuriste, esponenti politiche che cercheranno – così è stato detto – di coinvolgere le istituzioni a livello comunale e regionale, il Parlamento e di incalzare il Governo.
Ne è nata una rete, di donne afghane, di associazioni, di donne che per la loro collocazione potranno agire a sostegno dei loro diritti.
