di Filippo Bocci – Ci si potrebbe chiedere di cosa parli esattamente Una messa in scena posticcia di Valerio Carbone per le Edizioni Efesto. Certo un romanzo, con due protagonisti Sorcio e Banana improbabili già dai nomi, a caccia d’amore e di felicità, le poche cose che fanno, tutto sommato, il senso della vita.
Ma nel titolo è nascosta l’architettura teatrale del libro, costruito su una narrazione per scene, come una commedia, e il suo risvolto meta-narrativo, filosofico, che tira le somme, commenta a mo’ di antica tragedia l’odissea stramba dei due personaggi, novelli Vladimiro ed Estragone metropolitani, più concreti senz’altro, divertenti, affamati di essere, ma altrettanto logori, combattuti, sfiancati.
È così che i libri (“non bastano mai”, afferma lo scrittore Sandro Bonvissuto nella presentazione) parlano di noi. E anche in questo caso Carbone parla, infatti, di vita, vissuta attraverso il viaggio. Tuttavia, non sono tanto importanti i luoghi della narrazione, Parigi, Barcellona, Lisbona o Istanbul, quanto il movimento in sé.

È l’antica idea del viaggio omerico, l’eroe che parte, si perde, deve ritrovare la strada di casa, dove ogni giorno una tela viene tessuta e disfatta. Infine
la scoperta che, in fondo, si parte per tornare, diversi, al punto di partenza.
Se quindi le tragicomiche vicissitudini di Sorcio e Banana, per indole impulsivi e sognatori, vaghi di un’esistenza appagante costruita su illusioni fragili, ma non per questo inautentiche, ci disegnano un plot apparentemente lineare, contemporaneamente siamo portati a riflettere, grazie agli accorti cambi di registro dell’autore, sui “massimi sistemi” celati nella narrazione, e che solo la scrittura può svelare.
Come ben sintetizza ancora Bonvissuto nella presentazione, anche la scrittura “ha un destino, che si compie proprio attraverso chi scrive, che poi è l’unico dio del mondo contenuto nel libro che ha scritto, ed è quello di essere lo strumento più adatto, fra quelli esistenti nell’universo, per cantare la vita proprio così com’è, sempre al confine tra commedia e tragedia”.
Dopo i racconti di Fruitore di Nonsense, Valerio Carbone torna al romanzo e lo fa attraverso una scrittura sapientemente irregolare fatta di continui strappi e rallentamenti, di avventure portate al limite del nonsense, per restare in tema.
Eppure la scrittura è “l’unica alternativa valida alla vita”, nella pirandelliana “distinzione scostante fra ciò che si vive e ciò che si può scrivere soltanto”.
Narrazione, teatro, vita: è questo il viaggio, per nulla scontato, di Una messa in scena posticcia.
In fondo “è soltanto questione di parole”.