Ebbene, c’era qualcuno che se ne prendeva cura: due fratelli, Mohammad Saud e Nadeem Shehzad, ex culturisti diventati veterinari autodidatti. E nacque l’idea di un documentario che lo avrebbe portato dritto alla candidatura per l’Oscar.

Le acque dello Yamuna, l’affluente del Gange sulla cui riva destra sorge New Delhi, sono buone per 350 chilometri: più o meno, dall’Himalaya fino all’ingresso in città, dove a causa degli scarichi fognari e dei complessi industriali diventa il fiume più inquinato del mondo nelle cui acque non c’è traccia di specie vivente. Lungo le sue rive, intere colonne di nibbi scavano tra i rifiuti fangosi: li vediamo immergersi fino alla vita, nell’acqua piena di schiuma.
I nibbi di Delhi vengono uccisi dall’aria tossica che produciamo, dall’inquinamento e forse, ancora di più, dai manja, gli aquiloni che gli abitanti della città alzano in cielo.

Il cielo come una trappola, per giunta mortale. Manja e inquinamento.
L’aria di Delhi è una delle più inquinate dell’intero pianeta, ritenuta responsabile di decine di migliaia di morti premature. Spesso, per decreto, le scuole devono restare chiuse.
Molti dei nibbi recuperati da Nadeem e Mohammad presentano problemi respiratori, specialmente d’inverno, quando l’aria inquinata è al suo picco. Qualcuno guarisce, ma tanti non ce la fanno.
Da almeno 20 anni i due fratelli si occupano di salvare i nibbi feriti o incapaci di respirare, curandoli nel loro “ospedale” ricavato da un seminterrato, una specie di garage multilivello in parte adibito alla fabbricazione di dispenser di sapone.
La vista dei volatili che ogni giorno si contorcono a terra è risultata alla fine insopportabile per Mohammed e Nadeem. Ogni anno, ne recuperano migliaia.
Negli ultimi 12 anni, ne hanno curati circa 26mila.
Per salvarli, li sottopongono a interventi chirurgici correttivi, riparano un’ala piegata, una pupilla velata. Poi gli uccelli riprendono il volo, ma il ciclo è destinato a ripetersi e i nibbi guariti potrebbero essere colpiti di nuovo.
“E’ una specie di dovere morale, qualcuno deve pur farlo” dicono i due, convinti dell’interconnessione tra creature viventi, fra vita umana e animale.
“Apparteniamo tutti allo stesso universo, siamo una comunità d’aria. La vita stessa non è che una parentela”.
Quando nel ’97 recuperarono il primo nibbio, che sembrò loro un rettile venuto da un altro pianeta con l’ala strappata dal filo di un manja, lo portarono all’Ospedale per uccelli più antico e più grande di Delhi, gestito dalla comunità religiosa dei Giainisti, vegetariani che non forniscono carne agli animali carnivori, anche se in gravi condizioni.
Così li rimandarono indietro, emettendo di fatto per i nibbi feriti portati dai due una sentenza di morte “Perché questa discriminazione fra vegetariani e non vegetariani? si chiedono Mohamed e Nadeem nel film, che da allora cominciarono a curare loro stessi gli uccelli.
“One shouldn’t differentiate between all that breathes”
“Non si dovrebbero fare differenze fra ciò che respira”.
“All that breathes” non è un semplice documentario sulla crisi climatica. Mostra un calvario. I due fratelli, di religione musulmana, fanno un atto di pietà: il Thawāb. Ma la gioia di vedere gli uccelli di nuovo in volo, spiega Nadeem, risponde anche a un sogno che lui aveva, sin da bambino.
“Mi sarebbe sempre piaciuto diventare un pilota, ma i costi da sostenere erano altissimi. Se per me volare era tanto importante, mi chiedevo, che dire degli uccelli feriti, nati per volare?
Adesso quando li vedo alzarsi in cielo dopo averli curati, provo una gioia indicibile”
Le riprese del film sono cominciate nel 2019 e sono durate tre anni. Ma, ammette il regista, avrebbero potuto durare anche 10 anni senza riuscire a cogliere un attimo magico, del tutto casuale, ripreso all’inizio e presente ovviamente nel trailer.
Dove un nibbio si lancia in picchiata sul terrazzo e toglie, con inusitata delicatezza, gli occhiali dal naso di un assistente dei due veterinari.