di Filippo Bocci – Ci si emoziona sempre quando si assiste ad una creazione autentica, genuinamente artistica, come il concerto Il paese degli uomini integri del compositore Fausto Sebastiani, andato in scena al Teatro Palladium di Roma il 17 aprile scorso.
Il merito va all’interessante rassegna di spettacoli in cartellone della Roma Tre Orchestra, giovani e bravi strumentisti con la direzione artistica di Valerio Vicari. Sua l’idea intelligente di accostare due lavori che si distanziano tra loro di quasi 100 anni, ma che fra loro risultano complementari.
È l’Africa con i suoi “miti” a fare da filo conduttore fra La creation du monde di Darius Milhaud, balletto tratto da un soggetto di Blaise Cendras, scritto tra il 1922 e il 1923, e Il paese degli uomini integri, opera del 2017, messa in musica da Sebastiani su un testo di Sandro Cappelletto, eminente critico musicale, qui anche voce narrante: una scrittura vibrante la sua, poetica, di grande riuscita teatrale. Sicura la bacchetta del direttore Francesco Belli e impeccabile il soprano Marta Vulpi.

Una serata di grande valore artistico, dove un’espressione musicale contemporanea ha brillantemente figurato vicino ad un brano ormai divenuto classico come quello di Milhaud, e peraltro chi vuole può ascoltare su You Tube una storica registrazione della Creation du monde diretta dall’inarrivabile Leonard Bernstein.
Colpisce la dote della musica di Sebastiani di farsi parte integrante del racconto, di sostenerlo, arricchendone la vis drammatica.

È come se alla fine testo e musica, entrambi con un fluire consequenziale, orizzontale, provenissero dalla stessa mente, da una medesima sorgente d’ispirazione.
Melodie cariche di significati, in grado di rappresentare i suoni del continente africano, di evocarli, dando loro forza e dignità materica, quasi una solidità visiva, che ricorda un verso splendido di Fabrizio De André nella Buona Novella: “Io per un giorno, per un momento, corsi a vedere il colore del vento”.
“È un grande onore per me essere stasera vicino a Milhaud – ha detto a B-hop il Maestro Sebastiani – perché questo compositore, oltre ad avere un grande talento musicale, ha contribuito ad avvicinare il genere ‘colto’ con stilemi musicali vicini al linguaggio jazz, che è un tipo di musica che amo molto”.
Appassionato di musica sin dall’infanzia, Sebastiani ha trovato la sua cifra stilistica negli anni ’80 grazie ad una storica associazione come il Festival di Nuova Consonanza, che ha per scopo la conoscenza della musica contemporanea, indagando i rapporti tra la musica e le arti, e grazie all’incontro con un importante compositore come Salvatore Sciarrino, un artista che ha sempre posto al centro della propria arte non sé stesso o la partitura, ma l’ascoltatore.
“I corsi di Città di Castello dal 1982 al 1988 – ci racconta Sebastiani – sono stati una vera e propria esperienza di vita. Il rapporto con Sciarrino riguardava lo studio della composizione ma richiedeva anche una riflessione seria sui progetti personali di ciascuno studente e riusciva a mettere sempre in relazione il pensiero musicale con quello delle altre arti come la pittura. Ricordo che tenne la prima lezione portandoci a visitare il Museo Burri di Città di Castello presso Palazzo Albizzini”.
Sebastiani ci parla poi del futuro della musica alta, classica con la C maiuscola:
“La cosiddetta musica contemporanea sta vivendo un momento molto particolare perché da un lato le istituzioni musicali faticano a programmarla, certamente non aiutate dai finanziamenti pubblici, ma dall’altro si assiste ad un bisogno di ‘creatività contemporanea’ sorprendente.
Vi sono tantissimi compositori più o meno giovani, ma anche artisti, poeti, che anche con l’uso delle nuove tecnologie o dei social esprimono una presenza artistica molto interessante e variegata. Insomma se da un lato i finanziamenti son sempre ridotti dall’altro c’è un’esplosione creativa sorprendente“.
Il paese degli uomini integri, racconto in musica per voce narrante, soprano, quartetto di sassofoni e percussioni, è ispirato a Thomas Sankara, un uomo carismatico, che milioni di africani riconoscono come il Che Guevara del loro continente.
Fu il primo presidente del Burkina Faso, già Alto Volta, ma venne ucciso il 15 ottobre 1987 in un colpo di Stato. Sankara è a tutt’oggi un eroe popolare come Nelson Mandela.
Il testo di Cappelletto incornicia le parole di Sankara a proposito del debito pubblico: “Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo. Quelli che ci hanno prestato denaro, sono gli stessi che ci avevano colonizzato. Sono gli stessi che gestivano i nostri Stati e le nostre economie. Sono i colonizzatori che indebitavano l’Africa con i finanziatori internazionali che erano i loro fratelli e cugini. Noi non c’entravamo niente con questo debito. Quindi non possiamo pagarlo”.
Un eroe dunque, con l’ideale purezza del sognatore.
“Non è possibile effettuare un cambiamento fondamentale senza una certa dose di follia. In questo caso si tratta di non conformità: il coraggio di voltare le spalle alle vecchie formule, il coraggio di inventare il futuro. Ci sono voluti i pazzi di ieri per permetterci di agire con estrema chiarezza oggi. Voglio essere uno di quei pazzi. Dobbiamo avere il coraggio di inventare il futuro“.
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