Negli anni Cinquanta a Chicago una giovane ragazza, Vivian Maier (1926-2009), faceva la tata presso le famiglie dell’alta società. Passava quindi le sue giornate allevando i figli degli altri ma, nel tempo libero, usciva per le strade della sua città sempre accompagnata dalla sua inseparabile macchina fotografica, una Rolleiflex 6×6. I suoi soggetti preferiti erano le persone, gli sconosciuti, i passanti. Oggi l’Italia le porge un grande tributo, dandole spazio al MAN Museo D’Arte di Nuoro che, in occasione della mostra “Vivian Maier Street Photographer”, promuove anche un programma di laboratori estivi per i bambini dai 4 ai 12 anni incentrati sul gioco e sull’apprendimento delle forme artistiche attraverso la fotografia.
Una storia meno conosciuta ma altrettanto sorprendente che, solo da pochi anni e certamente in maniera meno roboante, ha fatto breccia nel cuore degli amanti della nobile arte e non solo.
Se pensiamo alla nobile arte della fotografia ci vengono in mente subito nomi illustri, a partire da Henri Cartier-Bresson che, partito dall’ispirazione del Surrealismo francese, dai suoi numerosi viaggi e dalla frequentazione di filosofi ed artisti, ha fatto del suo occhio una lente magica ed innovativa sia come reporter che come visionario pittore dello scatto.
Roland Barthes ne La camera chiara. Nota sulla fotografia, un bellissimo saggio scritto nel 1980, approfondisce il rapporto tra realtà e immagine, comunicazione e rappresentazione fotografica, insegnandoci a distinguere protagonisti e momenti dell’atto fotografico, innalzandolo appunto ad arte, elevandolo quindi da pratica meramente memorialistica, regalandogli un posto d’onore e di rispetto.
Come disse Bresson, ”fotografare è riconoscere nello stesso istante e in una frazione di secondo un evento e il rigoroso assetto delle forme percepite con lo sguardo che esprimono e significano tale evento. È porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore. È un modo di vivere”.

Vivian Maier ha collezionato migliaia di scatti, probabilmente senza mai sapere che più o meno nello stesso periodo Bresson aveva detto che «la società si adopera per far rinsavire la Fotografia, per temperare la follia che minaccia di esplodere in faccia a chi la guarda». Vivian guardava fuori dal suo piccolo mondo attraverso l’occhio di un obiettivo di vetro. Mai e poi mai avrebbe immaginato che, cinquant’anni dopo sarebbe diventata famosa. I suoi scatti la fanno rientrare nella categoria degli “street photographer”, perché appunto amava catturare pezzetti di realtà, con neo realismo in bianco e nero, sempre catturando l’attimo, seguendo l’istinto e certamente mai una vera e propria tecnica. Apparentemente Vivian fotografava per sé, amava soprattutto le persone comuni, sporche e affannate, bambini, passanti, operai e casalinghe.

Non aveva modelli di bellezza, nè amava la perfezione assoluta; non pensava né di mostrare le sue opere né di ricavarne qualcosa e, per tutta la vita, rimase in ombra. La fama, arrivata postuma ed involontaria, viene oggi celebrata da numerose mostre a lei dedicate dove è possibile ammirare il meglio della sua vastissima produzione.