(clicca qui per leggere la prima parte del racconto) – L’agitazione di Giulia era figlia di un pensiero: la realtà non è mai all’altezza dell’immaginazione. Quali fantasiose immagini avevano creato, nell’uno e nell’altra, quegli anni trascorsi senza vedersi, raccontandosi ad una cornetta telefonica?
Non erano gli inevitabili segni del tempo a preoccuparla, piuttosto la paura che le parole tra di loro non fluissero spontanee, alte, belle, libere come in quella notte di tanti anni prima, come nelle interminabili conversazioni telefoniche; il timore che lo sguardo fiero, orgoglioso, forte di Aldo si fosse trasformato, come per molti altri, in quello rassegnato di un uomo sconfitto dalle circostanze avverse.
Quel timore ancora l’angosciava mentre la Sportster ringhiosa graffiava l’asfalto della rampa. Ma ce l’aveva fatta, aveva girato la chiavetta, frizione, acceleratore, un balzo e ora stava cavalcando la sua “bestia”, la motocicletta.
La cavalcava con sorprendente complicità, è come se si fossero conosciute da sempre, la Sporster le ubbidiva docile e felice di farsi guidare da Giulia per le vie deserte di Roma. Quando accelerava, quando sentiva la spinta violenta e sicura di quei cilindri, Giulia provava dentro di sè una ebbrezza sensuale.
Era in anticipo, le accadeva sempre quando aveva un appuntamento importante. Ne approfittò per portare la sua “bestia” a conoscere la vera Roma, la città eterna che ormai concede il suo fascino esclusivamente nelle notti di Ferragosto. Gliela fece conoscere portandola in un unico luogo, una terrazza improvvisa, inaspettata, dalla quale con lo sguardo la si può abbracciare tutta. Ci arrivò a folle, dopo aver spento il motore per non far fuggire quel silenzio raro e maestoso che ora l’abbracciava dolce. C’era anche lui, il vento di Roma, degli innamorati, il Ponentino a soffiare la sua brezza languida. Ma soprattutto, l’assenza di ogni forma di barbarie restituiva alla città il suo ruolo di custode della bellezza divina.
A Giulia sembrò di compiere un sacrilegio, di procurare una ferita che gridava vendetta quando sfrecciò fragorosamente per raggiungere la Via del Mare.
Aldo l’attendeva a Castelporziano, in quelle dune che accolsero per tre giorni il festival dei poeti, in quella spiaggia che li fece incontrare. Un pò stempiato, qualche filo bianco, forse ancora più magro di quanto non lo fosse all’epoca. Per il resto non c’era nulla di diverso: un poeta lo è per sempre.
Come aveva potuto dubitare, si chiedeva Giulia, mentre, entrambi incerti per l’emozione, tentavano un goffo abbraccio. Ebbe una definitiva conferma che la legge di Murphy almeno per quel giorno era cambiata, quando, intorno al falò che Aldo aveva preparato, rimasero storditi a guardare una grassoccia luna piena che sembrava dondolare sulle onde del mare. Lo fecero in un silenzio che gridava tutto quanto affollava le loro menti ed i loro cuori .
Ad interrromperlo furono le parole che Aldo si fece prestare da un grande poeta e che iniziò a pronunziare sommessamente: “Non capirsi è terribile, non capirsi ed abbracciarsi, ma benchè sembri strano, è altrettanto terribile capirsi totalmente. In un modo o nell’altro ci feriamo. Ed io, precocemente illuminato, la tenera tua anima non voglio mortificare con l’incomprensione, nè con la comprensione uccidere”.
Giulia lo sfiorò con una timida carezza, avvicinò le sue labbra calde e poi fu una notte di carezze, pensieri, poesia, sogni e di ciò che nessuno dei due aveva mai avuto il coraggio di confessare all’altro.
Il sole bruciava già l’aria quando Giulia aprì la porta di casa. Per un attimo temette che ad accoglierla fosse il volto sorpreso e corrucciato del nerd, invece trovò solo la rassicurante vibrazione del frigorifero.
Doccia, letto sconvolto ad arte, occultamento della tuta Kill Bill, furono le attività di pochi minuti.
Quando Ringo rientrò in ritardo Giulia ne approfittò per rimproverarlo severamente.