“Avrei voluto essere Pantani”, lo spettacolo teatrale che abbiamo visto nella suggestiva cornice del Fringe Festival Roma a Villa Ada, è uno spettacolo povero ma nobile. Povero perchè, come tanti altri spettacoli off, non è supportato da un’adeguata produzione e sopravvive probabilmente solo grazie alla grande passione ed all’amore di chi l’ha allestito. Nobile perchè, nonostante la povertà di cui sopra, i circa settanta minuti di monologo, scritto ed interpretato da Davide Tassi e per la regia di Francesca Rizzi, tengono lo spettatore inchiodato alla poltrona, anzi, idealmente, alla bicicletta (peraltro unico elemento scenografico presente).
A raccontarci la vita sportiva di Marco Pantani, quella che ormai è assurta quasi al livello di leggenda, è un gregario, uno di quelli che porta le borracce al capitano e che sogna di diventare, prima o poi, un campione.
Ma il gregario in questione non vuole diventare un campione come altri, come Indurain, Ullrich, Chiappucci, no lui vuole diventare come quello più forte, come quello che quando parte riesce a staccare anche la propria ombra, che in salita sembra non conoscere fatica, come quello che si chiama Marco, Marco Pantani.
Il gregario, figura realmente esistita, ancorchè anonima nella piecè, racconta allo spettatore le straordinarie imprese di Pantani, la sua arroganza agonistica, i ripetuti incidenti che ne condizionarono la carriera, fino ad arrivare a quel maledetto 5 giugno del 1999, a Madonna di Campiglio, quando, a seguito di un controllo anti doping, venne trovato positivo.
Aveva l’ematocrito a 52, quindi ben oltre il limite massimo di 50. Tutti i ciclisti erano a conoscenza che quella maledetta mattina l’Uci (Unione ciclistica internazionale) avrebbe fatto i controlli ed in quelle circostanze tutti i ciclisti a rischio usavano diluire il proprio sangue una mezz’ora prima che gli venisse prelevato.
Ed allora come mai Pantani rimase “fregato”?
Il gregario s’interroga su un possibile complotto dei soliti poteri forti, Pantani si era fatto parecchi nemici anche al Coni o forse, come il boss Renato Vallanzasca ha ripetutamente raccontato, fu la camorra per proteggere il giro delle scommesse clandestine.
E’ Sandro Donati, noto allenatore di atletica leggera e famoso per le sue battaglie contro il doping, a svelare allo spettatore, attraverso un suo intervento in video, una triste ma purtroppo probabile verità.
Pantani era un dopato, aveva spesso fatto ricorso all’epo perchè, pur essendo il più forte, non avrebbe mai potuto competere ad alti livelli in una disciplina dove il doping era divenuto sistematico. Tutti ne facevano uso.
Gli altri nove ciclisti controllati a Madonna di Campiglio insieme a Pantani e che risultarono nell’occasione negativi, furono successivamente, in altre gare, beccati con valori di ematocrito fuori dalla norma.
Tutti sapevano ma nessuno parlava perchè il ciclista dopato regalava più spettacolo e a maggior spettacolo corrispondeva, come sempre, più denaro per tutti.
Ecco allora che le parole del gregario forse divengono una metafora della nostra società. Una società all’interno della quale non è più la persona con merito ad emergere ma piuttosto chi, con pratiche spesso scorrette, si finge il più bravo, il numero uno.
“Avrei voluto essere Pantani” è il grido di chiusura dello spettacolo, un grido che accomuna tutti noi anche nella vita quotidiana, possibilmente senza essere costretti a doparci.