di Margherita Vetrano – Può capitare che qualche classe venga messa in quarantena e può capitare che queste classi rimangano a casa, terminata la quarantena, in attesa di un certificato.
E’ accaduto all‘Istituto comprensivo via Giuseppe Messina, plesso elementare “Margherita Bosco” di Roma, VII Municipio, dopo poco più di una settimana dall’inizio delle lezioni. Solo oggi sono riusciti a tornare in classe.
Un operatore mensa risultato positivo al tampone molecolare ha fatto scattare la procedura ASL per la quale le classi servite da quell’operatore venissero messe in quarantena.
Il protocollo ha previsto l’isolamento dei bambini e inizialmente, anche quello di fratelli e familiari stretti, in base al patto di corresponsabilità firmato dalle famiglie.
Solo in seguito, ratificando il patto, i fratelli sono stati riammessi a scuola e i genitori “in libertà”.
Per i piccoli (due seconde elementari e le tre sezioni de “La casa dei bambini”) è iniziato un percorso di “clausura” che ha riaperto la strada alla D.A.D. (Didattica A Distanza) e richiuso le porte di casa.
In pochi giorni si è tornati indietro di mesi e ripiombati nel mood da lockdown per famiglie ed insegnanti.
Non è stato semplice organizzarsi per i familiari lavoratori.
Il decreto per i permessi per assistenza ai figli in quarantena sta occhieggiando in questi giorni.
Gli insegnanti, già piegati da un inizio complesso e farraginoso, dal canto loro hanno dovuto attingere a tutto il loro amore per insegnamento e alunni.
La scuola è nuovamente nella bufera dei pionieri, dimostrando che il piano per la ripartenza era pronto a metà.
Direttive e linee guida sono state rielaborate e corrette in corso d’opera complicando la vita a dirigenti, collaboratori e docenti.
Stesso clima d’incertezza nelle chat bollenti da 4000 messaggi al giorno in ricerca di risposte.
L’iter si è dipanato giorno dopo giorno, sulla pelle di genitori alla ricerca di permessi lavorativi, bambini ingrigiti e maestri amareggiati.
A partire dal primo tampone: ”Farlo in autonomia o attendere la chiamata della ASL? Questo è il dilemma!”
Ancora una volta le famiglie si sono organizzate, supportate da pediatri di base più o meno illuminati e si sono imbarcate nelle file al drive-in, nella speranza di referti negativi.
… qualche volta positivi, anzi no, “falsi positivi”!
La quarantena andava avanti e alcuni referti non arrivavano (fino al tempo di attesa record di 192 ore contro le canoniche 48-72).
Scattava automatico un nuovo interrogativo: ”Secondo tampone, si o no?!”
Pediatri a favore contro pediatri contrari dividono in fazioni i genitori che ormai seguono la chat come la più appassionante di tutte le serie TV.
L’ultimo giorno di quarantena, quando ormai è chiaro che il secondo tampone andrà fatto, la scuola, con un colpo magistrale, riesce ad istituire un presidio ASL nella palestra.
C’è stato grande entusiasmo per le condizioni migliorative: meno ore d’attesa che nei presidi pubblici, esame rapido e solo in caso di falso positivo ripetuto seduta stante come molecolare.
Inoltre la certezza di una certificazione ASL che avrebbe riammesso in blocco le classi, insegnanti comprese era garanzia di una ripresa veloce.
Ma trascorso il D-day, a distanza di tre giorni si sta ancora aspettando la famigerata certificazione che non arriva.
Risultato: bambini asintomatici a casa, con doppio tampone negativo, in attesa di una dichiarazione che li riammetta, anche dopo che sono scaduti i termini legali della quarantena.
Famiglie in crisi organizzativa, a 20 giorni dall’inizio della scuola.
Scuola con classi vuote ed insegnanti dietro ai monitor in attesa di riprendere un’operatività che, si teme, potrà continuare a singhiozzo per tutto l’anno.
Sarebbe opportuno rivedere la tempistica e snellire l’iter burocratico del protocollo.
Innanzitutto stabilendo in modo chiaro le aree di competenza perché tra ASL (Azienda Sanitaria Locale) SISP ( Servizio Igiene e Sanità Pubblica), OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e ISS (Istituto Superiore di Sanità) è un dedalo di direttive che a volte si sovrappongono, contrastano e non comunicano.
Perché non alleggerire la procedura per la quarantena dei negativi, evitando il secondo tampone?
Trascorsi i 14 giorni senza sintomi, il paziente si potrebbe dichiarare sano.
Si allevierebbe così l’operatività dei presidi ASL impegnati nei prelievi, già oberati in un periodo pre-influenzale con più di 1500 tamponi al giorno.
E’ opportuno rimettere le proposte a chi di competenza ma sarebbe “cosa buona e giusta” auspicare delle risposte.
I tempi stringono.
Che la parola d’ordine sia semplificare, per lasciare il Paese libero di riprendere il suo corso.
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