Provo sempre ammirazione per gli intellettuali, artisti, scienziati o persone comuni che hanno il coraggio di andare contro corrente, trascendendo il modello di pensiero imposto. Non si tratta di anarchismo o di essere sterilmente “contro qualcosa”. Sono persone che usano la loro intelligenza per indagare le incongruenze dei modelli imposti da qualche establishment. Vanno fino in fondo sia per amore della conoscenza sia per onestà intellettuale.
Non hanno paura delle conseguenze quando fanno vacillare l’edificio delle certezze, sono coerenti con la transitorietà delle cose. Sono loro i pionieri del progresso e del cambiamento, e diffidano dei modelli standardizzati e chiusi.
Questo aspetto si palesa particolarmente nell’ambito della Scienza. La Scienza (o sistema di conoscenze) si è appropriata di una prerogativa una volta della Chiesa: il dogma. Come avvenne per la dottrina cattolica, il dogmatismo che impera ora sulla dimensione della conoscenza ci deve fare riflettere. Ci dobbiamo chiedere, per esempio, se la scienza che è un sistema di credenze e di visione del mondo, non è soggettiva e figlia del suo tempo?
Se le leggi della Natura sono le stesse oggi come lo erano nel momento del Big Bang e se rimarranno sempre le stesse? Se siamo ancora delle macchine inserite in un universo altrettanto meccanico? Se la materia possiede una coscienza? Se il metodo scientifico, nato con Galileo, quattro secoli fa, è ancora adatto, nel 2014, per sperimentare e misurare realtà che sconfinano il conosciuto e i nostri sensi fisici? Se la consapevolezza è generata dal cervello? Se la medicina meccanicistica è l’unica che funzioni? Se le medicine energetiche funzionano, perché i governi non ne finanziano la ricerca?
Per alcune categorie di persone, i dogmi della scienza non possono essere messi in discussione. Ciò porta alla conseguenza che le molte dimensioni della nostra esperienza umana vengono o negate o ridicolizzate. Dal momento che una cosa è “scientifica”, la dobbiamo accettare, prenderla per buona e definitiva. Altrimenti la si deve scartare. Un tempo, quando qualcuno non abbracciava la “vera” fede, veniva demonizzato, ostracizzato e, nel peggior caso, bruciato. Oggi, i roghi sono mediatici e bruciano la reputazione, oppure si traducono con la messa al bando dalla comunità o con la condanna. Quindi, stiamo tuttora pagando un prezzo molto alto alla “Verità” imposta dal sistema. Qualcuno però si chiede se non sono gli strumenti e il metodo ad essere obsoleti nell’esplorare la complessità dei fenomeni che si verificano. È soltanto la punta dell’iceberg.
È soprattutto la nostra visione del mondo a doversi adattare alle esigenze dei tempi. Dal 1642, la visione del mondo e dell’uomo ha subito profonde metamorfosi. I mari della Luna che Galileo osservava attraverso il cannocchiale da lui costruito, sono stati percorsi e colonizzati da una manciata di uomini sbarcati da una navicella spaziale. Il nostro universo sta diventando sempre più grande, più complesso e non misurabile.
Le nostre connessioni e capacità neuronali si stanno sviluppando insieme alla tecnologia, e ovunque vediamo manifestarsi la crescita di una coscienza ecologica collettiva. Più che mai c’è l’esigenza di rimettere in discussione tanto il sistema quanto noi, gli esseri umani che lo hanno assecondato. Lo possiamo fare, diventando consapevoli della transitorietà delle cose, sposando la filosofia del wabi-sabi giapponese: “nulla dura, nulla è finito, nulla è perfetto”.