(di Massimo Lavena) – Ma voi ci pensate cosa succederà sabato 8 dicembre 2018 a Roma, capitale della Repubblica Italiana? Quella che fu la Caput Mundi vedrà calar orde sguaiate di elmi cornuti calzati. Giungeranno dai contadi dell’Italia annegata nelle venefiche acque atrazinate della Padania, berciante origini storiche farlocche; giungeranno dai territori inquinati di tutta Italia perché un truce condottiero delle steppe più noiose vuol abbattere ciò che nei secoli tanti hanno cercato di distruggere: la Storia de’ Roma!
L’orda neraverde però non ha fatto i conti con ciò che li attenderà: la festa grande dell’Immacolata è un giorno di gioia ed allegria e preghiera per i romani, e guai ad offendere la memoria della Madre del Signore. Sguaiati ed abbeverati nella protervia dell’ignoranza, i seguaci dell’Isoardo Scaricato la mattina avranno occupato la nobile Piazza del Popolo: un tempo porta di accoglienza dei pellegrini che giungevano a Roma per visitare la Tomba dell’Apostolo, accoglierà impotente anche chi, stavolta non cala da pellegrino ma da occupante.
Ma ci sono i romani, loro, difensori delle tradizioni di una città che ne ha viste tante e tante ne vedrà ancora.
Roma sorride e invoca i suoi progenitori, chiama i suoi martiri, ma soprattutto, chiama la sua cultura che è popolare e fiera della sua nobiltà secolare.
Una cultura di accoglienza e di bonomia, ma al romano nun je devi pestà li calli! C’è Giordano Bruno che li attende con Giulio Cesare e Sora Lella.
Ci sono gli studenti e le signore di Testaccio, di Trastevere, del Ghetto che ridendo e scherzando, con la loro forza della vita, che a Roma è eterna, rimanderanno al mittente offese e invasioni barbare. Magari con una bella risata, ed un piatto di spaghetti alla carbonara!
Come osano costoro, eredi degli Ostrogoti e dei Visigoti, di quegli Unni che videro il loro re Attila fermarsi alle porte di Roma davanti a San Leone Magno, violare Roma ed il giorno dell’omaggio della cittadinanza dell’Urbe all’Immacolata?
Roma è una e tante altre cose, è soprattutto il suo popolo, la sua vita, i suoi mercati, i suoi tramonti dall’Aventino e le sue albe dal Gianicolo, Roma è il Cupolone ed è il suo vescovo, Francesco: che magari potrebbe rivestirsi n’artra vorta con la scintillante armatura di Giulio II per far capire, prima, durante e dopo a ‘sti signori, che Roma nun se tocca, e con lei nun se toccano i romani, che poi so’ tutti quelli che ci vivono, magari mandandosi platealmente a quel paese, bianchi, neri, gialli, rossi e pure verdi, ma solo se so’ boni.
