(di Maralis) – Sulle note de l’’amore si muove‘ del Volo, Claire si libra in aria appesa al filo di un trapezio leggero. I riflettori la illuminano. Il gonnellino rosso è un puntino, lei si tiene solo con i piedi. Il pubblico trattiene il fiato. L’unica protezione è una corda attaccata alla vita, tenuta all’altro capo dal papà che la guarda. Brusii, stupore e applausi. Siamo al debutto della grande famiglia circense del Rony Roller. Siamo nel quartiere Centocelle a Roma e il circo è appena sbarcato.
«Questo numero gliel’ha insegnato suo nonno – racconta a b-hop Daniela Vassallo, mentre assistiamo allo spettacolo – ed è lo stesso che faceva anche sua mamma, che era contorsionista. Vedi quella signora col cappotto addosso? E’ la nonna; non manca mai un solo spettacolo della nipote!».

Mentre gli artisti entrano in pista uno ad uno, Daniela racconta gli intrecci e la magia della grande famiglia circense del Rony Roller.
In questa periferia tra la Casilina e Tor Pignattara la gente è incuriosita: fa capolino e sbircia dentro la rete. Poi si mette in fila al botteghino: per il debutto Rony stacca quasi 500 biglietti.
«In questo periodo non abbiamo con noi gli uomini volanti – spiega con rammarico Daniela – perché c’è il cambio di troupe! Mio fratello è quello che li afferra quando calano dall’alto e che sceglie gli artisti che dovranno “volare” in pista».
Suo figlio Aris, vent’anni appena, “perennemente innamorato”, è già domatore, acrobata e giocoliere. Va in scena diverse volte, prima vestito da Spiderman, poi con una tuta attillata che ha cucito sua mamma. Piroette e salti mortali. Infine esce accompagnato dai cavalli bianchi e dall’ippopotamo Pippo.
«Gli dico sempre: “figlio se tu fossi la metà di quello che ti credi di essere, saresti già qualcuno!” Mi fa morire dal ridere».
Aris confida che preferisce fare il domatore più che il giocoliere. Ma tutto gli riesce maledettamente bene. Impara da suo zio, che ammaestra leoni.
Tra un numero e l’altro Claudio, il giocoliere-prodigio, le ragazze ballerine e il ‘terribile’ mangiafuoco si intrattengono dietro le quinte.
«Noi abbiamo sempre riso dei luoghi comuni sul circo: il clown triste, il direttore cattivo, i pasti comuni col pentolone. Noi lo sappiamo cosa la gente pensa di noi, lo sappiamo… e ne ridiamo!».
«Il circo è qualcosa che io paragono al richiamo del mare – dice Daniela che è stata contorsionista e trapezista come sua mamma – Dopo un mese di permanenza in un luogo devi spostarti, perché ti vengono a noia i supermercati, il piazzale, la città», anche se hai dei bambini piccoli in carovana che devono andare a scuola.
Per i circensi in movimento perenne, noi siamo “i fermi”. E la libertà è lo spostamento continuo.
«La vita sociale di un bambino ‘fermo’ è a scuola, ma la scuola per noi non è sociale – spiega -. Mio cugino ad esempio, è andato in tournée in Tunisia per tre mesi e ha lasciato a casa le bambine con i nonni. Le maestre li hanno mandati a chiamare: “Asia e Ashlei non si integrano bene con i bambini della classe”, hanno detto. Ma gli è stato spiegato che la vita sociale dei nostri bambini è in questo ambiente qui, loro non hanno interessi in comune con gli altri».
A scuola comunque vanno, ovunque si trovino.
«Adesso in carovana abbiamo sei bambini: li mandiamo a scuola proprio qui davanti, e ogni tappa che toccano gli viene firmata una relazione».

«Megane per esempio, vuole fare la contorsionista, non le interessa la matematica. A mio figlio hanno fatto disegnare una vignetta: descrivi la tua giornata. La prima vignetta sapete qual era? Lui che esce da scuola. La sua giornata inizia quando esce da lì».
Facciamo un giro anche nel prato dove sono parcheggiate le roulotte: ogni famiglia ha la sua casa-mobile ma i ragazzi dormono per conto proprio.
«La roulotte piccola dei nostri figli è l’equivalente della stanza dei più giovani in casa», ci spiega Daniela.
E’ l’incredibile ‘normalità’ ribaltata di un mondo che ha fatto dell’esotico, della stramberia e della diversità il suo punto di forza. Ma che poi vive una quotidianità con intense relazioni umane.
«Qui da noi i giovani ricevono sempre la paghetta dei genitori anche a 20 anni, 25 anni – ci spiega Daniela – Il circo è di nostra proprietà, Aris è anche percentualista nelle foto ricordo e vendita dei gadget. Ma lui con la sua parte, che quando si lavora tanto non è male, arriva al mercoledì che è già squattrinato perché se la spende tutta al McDonald e al Wok!».
Incrociamo una artista in vestaglia che si è appena esibita nel numero di Crudelia de Mon, con i cagnolini dalmata, e che ora aspetta di cambiarsi d’abito per il gran finale: un balletto dove in scena ci sono tutti.
Seguiamo fuori e dentro i loro mille spostamenti e intravediamo uomini col turbante dei sikh, intenti a controllare la gabbia dei leoni. Gli animali sono tranquilli e vispi. Soprattutto quando stanno per entrare al centro della pista.
La diatriba perenne con gli animalisti è questione delicata per i Vassallo: gli animali, assicurano, sono molto amati oltre ad essere curati. Ma sebbene ci sia una legge del 1968 che favorisce le attività del circo equestre, è in cantiere un disegno di legge per portare lentamente alla dismissione del circo con gli animali.
Al controllo delle gabbie si muove veloce Kirpal Singh, detto ‘Barba’ che viene dall’India e lavora al Rony dal 2012.
«Questo lavoro è meglio di quello di bracciante che facevo prima a Terracina – dice Kirpal Singh, che ha 38 anni ma ne dimostra più di 50 e prova grande nostalgia per la famiglia -. Qui siamo tutti fratelli e sorelle. Io lavoro e prego, per me la religione è tutto: se non preghi Dio che vivi a fare?».
Attrezzisti, operai e inservienti arrivano spesso dall’Europa dell’est, dalla Romania o dall’Ungheria, ma adesso sempre più spesso anche dall’India e dall’Africa.
«Come facciamo ad andare d’accordo tra di noi? – dice Daniela conversando con Kirpal – Spesso in tournée ci ritroviamo tra cattolici, sikh e musulmani. Semplicemente: ci rispettiamo».
Ma come fa ad andare avanti un circo? Quanto guadagna? La risposta è pressoché unanime: oramai poco. Se non altro perché le spese sono troppe.
«Se il circo guadagna un euro al giorno, ne spende 80 centesimi – dice Alberto Vassallo – perché ci si attiene alle leggi. Le commissioni hanno un costo, la burocrazia ha un grande costo, lo stipendio degli artisti ha un bel costo, gli impianti di riscaldamento, il mantenimento degli animali, i vaccini e i controlli hanno un costo». Anche il suolo pubblico o il terreno privato hanno un costo naturalmente.
«A onor del vero devo dire che quando il piazzale è privato, a volte, non vogliono denaro – spiega Daniela – Se il terreno è comunale segui la legge che vale per i banchi del mercato, hai delle agevolazioni, perché un circo è molto più grande di un banco del mercato. Ma costa».

Mentre parliamo ci chiedono di rientrare alla svelta: c’è il numero di Rony con i leoni. Pochi minuti, attenzione dal pubblico. Grande curiosità. E’ un’attrazione che fa ancora tanto effetto.
“Non avvicinatevi troppo al corridoio di rete! – ci grida qualcuno – Sembrano innocui, ma sono pur sempre dei predatori!”
Per un attimo lo avevamo dimenticato. Il balletto finale ci riporta alla realtà. Siamo a Centocelle e dobbiamo tornare a casa. Uscire dal tendone è un po’ come risvegliarsi dall’incantesimo.
La periferia brulla, un tempo campagna aperta, ci risucchia nel freddo umido di Roma capitale. Si ritorna…
photo credits: Chiara De Bonis