di Filippo Bocci – Sono passati 500 anni dalla morte di Raffaello Sanzio, le cui opere appartengono all’umanità, che lo ricorda nel 2020 soprattutto attraverso importanti mostre e contributi. Tra questi c’è il bel libro di Claudia La Malfa, storica dell’arte e accademica che insegna alla Loyola University Chicago di Roma ed è Visiting Lecturer alla University of Kent.
Raffaello. La rivoluzione dell’antico, edito da Rizzoli, è un lavoro approfondito, particolarmente accurato e arricchito da un cospicuo inserto fotografico, che passa in rassegna le opere del grande pittore urbinate attraverso i periodi della sua breve vita che, come tutti sanno, si è conclusa a trentasette anni.
Dopo gli inizi ad Urbino guidato dagli insegnamenti del padre Giovanni Santi, Raffaello è a Perugia alla bottega di Pietro Vannucci detto il Perugino, poi a Città di Castello, a Siena e a Firenze, dove conosce e studia l’arte di due campioni del Rinascimento come Leonardo e Michelangelo.
Da quest’ultimo coglierà la suggestione di un nuovo immaginario di trasformazione dell’antico e dei suoi modelli. Infine l’arrivo a Roma, con i prestigiosi lavori affidatigli dai pontefici Giulio II e Leone X, fra i quali le meravigliose Stanze del Palazzo Apostolico Vaticano.
Il racconto di La Malfa non può che partire dai debiti verso i precedenti maestri: oltre naturalmente al Perugino e all’eleganza delle sue figure, certamente Raffaello deve molto ad artisti celebri dell’area umbro-toscana come Pintoricchio, Luca Signorelli e Piero della Francesca.
Pure l’approccio riesce sempre personale, e l’arte di Raffaello esprime un’assoluta originalità che gli consente di distaccarsi da figure così straordinarie.
Vale, tra gli esempi, il raffronto tra due tavole all’incirca coeve, lo Sposalizio della Vergine opera del Perugino e lo stesso dipinto per mano di Raffaello, conservato nella Pinacoteca di Brera a Milano.

Qui La Malfa si sofferma a lungo, sottolineando la capacità del pittore urbinate di “fare emergere la realtà degli affetti, liberando la scena dall’aura di patetismo che connota la versione del Perugino”.
Il libro ci illustra, spesso attraverso pagine epistolari, i rapporti di Raffaello con gli uomini più potenti del suo tempo, dai già citati pontefici al re di Francia, alle più illustri famiglie italiane, fino ai grandi banchieri come Agostino Chigi e Bindo Altoviti.
Raffaello ha avuto la fortuna di stringere rapporti di amicizia con intellettuali raffinati come Pietro Bembo e Baldassarre Castiglione, del quale esegue un superbo ritratto conservato al Louvre di Parigi.

Osserva La Malfa: “I volumi sono così precisamente costruiti che il manicotto sembra sfondare la superficie bidimensionale del quadro ed entrare nello spazio del reale. Lo sguardo di Castiglione, la pupilla blu inchiodata sull’osservatore, fora la barriera tra mondo artificiale e mondo reale, fino a rendere il protagonista un eroe immortale”.
Ma sono gli anni romani a chiarire meglio la tesi centrale di questo libro, quella che Claudia La Malfa chiama la “rivoluzione dell’antico”.
Raffaello, che aveva conosciuto la storia antica attraverso gli umanisti e la letteratura, a Roma incontra direttamente il mondo classico.
Era quella l’epoca in cui gli artisti giravano per la città tra i monumenti con il taccuino in mano ed è del 1506 il ritrovamento nella zona del Colle Oppio del gruppo statuario del Laocoonte, opera ellenistica del I secolo a.C.
A confronto con l’arte degli antichi Raffaello trae i modelli per la sua “invenzione artistica”, però – sottolinea La Malfa –
“l’antico non viene semplicemente copiato e riprodotto, ma utilizzato come spunto per la creazione di figure e invenzioni nuove destinate a diventare il canone della classicità nei secoli successivi”.
E così “la rielaborazione comincia fin dal primo schizzo su carta, dando immediatamente luogo a una creazione nuova che tende a far perdere le tracce del prototipo da cui l’artista ha preso le mosse. In questo modo lo spunto desunto da una scultura, da un rilievo, da un edificio o da un dipinto antico si trasforma immediatamente in un’invenzione nuova fin dalla sua prima traccia in un disegno”.
Tutto ciò Raffaello lo compirà nascondendo l’artificio con la “sprezzatura”, che Castiglione considerava prova dell’eccellenza, e cioè “con la semplicità di chi non mostra fatica a fare ciò di cui ha il mestiere”.
Tuttavia, all’apice del successo e della gloria, la morte arriva improvvisa nel 1520. La febbre consuma il Maestro e Leone X fa portare al capezzale la Trasfigurazione, ultimo grande dipinto raffaellesco, ora nella Pinacoteca vaticana.

L’autrice ricorda le toccanti parole di Giorgio Vasari:
“La quale opera nel vedere il corpo morto e quella viva, faceva scoppiare l’anima di dolore a ogni uno che quivi guardava”.
Claudia La Malfa, che si occupa da molti anni di Raffaello, licenzia un volume autorevole, ricco di riferimenti a fonti e documenti inediti, rigoroso ed esaustivo, godibile anche a volerlo leggere solo come l’emozionante racconto di uno dei geni più grandi di tutti i tempi.
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