Raramente siamo noi stessi. Siamo il frutto delle proiezioni e delle aspettative degli altri, cominciando da quelle dei nostri genitori, insegnanti, familiari, per passare poi a quelle della società in cui viviamo. In realtà siamo una costruzione della mente degli altri e della nostra! So che questa notizia non è molto gradevole, ma bisogna prenderne atto per operare un cambiamento. Spesso sarà una crisi di identità e di valori ad avviarlo, una malattia, una perdita o qualche altro evento doloroso a metterci a nudo, portandoci in un percorso alla ricerca del famoso “chi sono?”
Finalmente, saremo costretti a rimettere in discussione le idee che ci siamo fatte sulla nostra relazione con la persona amata, i figli, il lavoro, le finanze, la salute, la morte, Dio, la Scienza, l’Arte, per citare quelle che più incidono sulla nostra vita. Le convinzioni che ci facciamo su noi stessi giocano un ruolo decisivo sul nostro successo o fallimento, sanciscono quando dobbiamo godere e quando soffrire nella “giusta misura”. Determinano persino il prezzo da pagare per ogni cosa bella che capita, in quanto ci crediamo immeritevoli di tanta bellezza e amore.
Una volta caduti i veli illusori, ossia le convinzioni con le quali abbiamo creato e sostentato la finzione nella quale viviamo, ci rendiamo conto che c’è dell’altro. Troviamo qualcosa di infinitamente luminoso, pulito e vitale, animato dal palpito dell’Amore. Una volta entrati nello spazio sacro della nostra Vera Natura, dobbiamo impegnarci a nutrirla e a custodirla perché dovremmo contemporaneamente affrontare una congiura che farà di tutto per distaccarcene e portarci all’oblio di ciò che veramente siamo. La congiura di un sistema che ci ricorda in continuazione la sofferenza, che ribadisce la nostra impotenza e piccolezza in tutte le declinazioni possibili, che ci omologa in stereotipi, modelli e protocolli.
Nei percorsi di autoconsapevolezza che ci capita di dovere fare, si evince un conflitto tra la Vera Natura che emerge e i vari personaggi che abbiamo accettato di interpretare sul palcoscenico del mondo, per parafrasare Shakespeare (“Io considero il mondo per quello che è: un palcoscenico dove ognuno deve recitare la sua parte”).
Madre, padre, moglie, marito, figlio, figlia, fratello, sorella, amico, straniero, professionista, artista, ricercatore, terapeuta, soldato, leader, carnefice, vittima e tutte le altre infinite combinazioni di ruoli con i quali ci identifichiamo. Il ruolo però limita l’espressione di un potenziale molto più ampio, quello della nostra Essenza, dell’essere primordiale, originale.
Un potenziale che fluisce con la Vita, che contempla tutti i ruoli per quelli che sono senza lasciarsene fuorviare, perché percepisce con chiarezza la sua appartenenza alla Luce e lascia che sia l’Amore a guidare i suoi passi al buio.
È arrivato il momento in cui non dobbiamo più commemorare le nefandezze e le ingiustizie, richiamate da “ruoli” e da “personaggi” estranei alla nostra umanità. Dobbiamo celebrare e sviluppare invece la dimensione luminosa che ci abita, che crea, ama, unisce, libera, trasforma.
Il silenzio e la Natura sono propizi al contatto intimo con la nostra Essenza, ma anche la musica, la danza, la gioia, la creazione. Ripetere con fervore ogni mattina questa affermazione: “sono Luce e Amore in azione” può aprire la giornata a nuove e buone energie, da dentro e da fuori.