dalla nostra corrispondente a Parigi – Era un venerdì come un altro di una tiepida giornata di fine autunno, in una delle città più belle del mondo. Era un venerdì da passare a teatro, ad un concerto, allo stadio perché no, ho trovato due biglietti, ci vediamo a “Répu” prendiamo un bicchiere, ancora non l’hai provato il cambogiano sul canale?
Ma il giorno dopo non è un giorno come un altro. Ti svegli in un sabato che sembra una domenica. Scendi sotto casa e ti aspetti, chissà per quale riflesso, di trovare una città morta. Perché la sera prima il presidente della Repubblica ha invitato i cittadini della Nazione che rappresenta, baluardo della libertà, a non uscire di casa. Non può essere un giorno come un altro quello in cui non hai la libertà di andare a teatro, al cinema, in metropolitana perché, per ragioni di sicurezza, sono vietate le occasioni di assembramento e sono chiusi molti esercizi commerciali. Può sembrare difficile da comprendere per chi non vive qui, ma in un Paese che, per far fronte ai picchi di inquinamento, rifiuta l’espediente delle targhe alterne perché manifestazione dell’ingerenza dello Stato sulla vita privata e sulle scelte individuali, l’accettazione de l’“État d’urgence” e di quello che comporta in termini di libertà, è qualcosa di totalmente inedito.
Il sabato del giorno dopo è ancora una tiepida giornata d’autunno, le foglie gialle abbandonate ai bordi dei marciapiedi. Scruti gli occhi del primo passante che incontri come chi cerca una conferma. E sai che anche lui ti guarda allo stesso modo. Ti aspetti la paura disegnata sul volto delle persone, poche, che incroci per strada. Ti aspetti che la boulangerie sia chiusa, che il supermercato sia chiuso. Che la città sia chiusa.
E invece. Appena fuori dal portone schivi un bambino sul suo monopattino. Incroci un gruppo di ragazzini vestiti di bianco uscire dalla palestra di fronte, aperta, alla fine del corso di karate. Vedi una donna che cammina con una torta in mano: avrà degli invitati per pranzo. La vita, come ogni giorno. Ma questa volta di più.
Come quando in famiglia la morte di un caro è occasione di riconciliazione, di riavvicinamento, così questo lutto mondiale risveglia un bisogno fortissimo di vicinanza, di presenza. C’è bisogno di vedersi tra cari, tra amici, per parlare, per raccontare, per “sentirsi”. La straordinarietà è che stavolta il contatto lo cerchi in ogni sguardo incrociato per la strada, e il sorriso di un passante ti sembra più vero. È il paradosso della morte. La vita è il suo regalo più grande.