(di Marie Noelle Urech) – Come ci atteggiamo davanti agli eventi difficili della nostra vita? Reagiamo con fiducia credendo che le cose possano cambiare, che c’è una soluzione dietro l’angolo?
Oppure c’è un senso di abbattimento, di subire le circostanze, accompagnato spesso dall’autocommiserazione: “Povero piccolo me, sempre a me capitano!”?
Numerose ricerche attestano che
gli ottimisti si ammalano di meno, vivono più a lungo, hanno una vita relazionale più soddisfacente.
Non si scoraggiano dopo una sconfitta e percepiscono una situazione avversa come una sfida da sostenere.
Hanno la sensazione di esercitare un forte controllo sulla propria vita, e sanno trarre da ogni esperienza, le informazioni che li aiutano a “migliorare il tiro”.
La loro salute è in genere buona, rendono bene nello sport, nel lavoro e nello studio, invecchiano bene e risentono meno dei consueti malanni fisici della mezza età.
Ottimisti non si nasce (vale anche per i pessimisti), ma si può diventare,
imparando a guardare alla vita in modo da trarre il massimo vantaggio dalle lezioni dell’esperienza, dalle proprie capacità e dalle opportunità offerte dall’ambiente.
Fiducia, entusiasmo, determinazione, scoraggiamento, apatia, passività sono stati d’animo che improntano significativamente il nostro rapporto con la realtà, ma che solo in parte riflettono la natura delle prove con cui ci confrontiamo.
In realtà le stesse sfide vengono da alcuni vissute come opportunità e da altri come fallimenti:
le medesime difficoltà vengono da alcuni affrontate come occasioni per esaltare le proprie capacità e da altri come incidenti in cui si svelano i propri limiti.
Info: Viriditas