Nella notte tra il primo ed il 2 novembre del 1975, all’idroscalo di Ostia, moriva assassinato Pier Paolo Pasolini. Di chi è quel corpo, brutalmente bastonato e ripetutamente travolto da un auto, che alle 6.30 del mattino viene scoperto da una donna in uno squallido campo a poche centinaia di metri dal mare di Roma?
Per parte dell’opinione pubblica è, in modo sprezzante, il corpo di un “frocio” (all’epoca i termini omosessuale, gay, diverso, erano desueti), il corpo di una “checca pervertita” che aveva trovato nella vendetta di un ragazzo di vita, Pino Pelosi, il suo giusto castigo. Lo stesso corpo, per l’altra parte dell’opinione pubblica , quella che si riconosceva nello sguardo straziato dell’amico Ninetto Davoli, al quale toccò il triste compito del riconoscimento, è quello di uno dei più lucidi intellettuali ed importanti artisti del Novecento.
E’ il corpo dell’autore di romanzi come “Ragazzi di vita”, “Una vita violenta”, “Petrolio”, di testi teatrali quali “Orgia”, “Affabulazione”, di saggi come “Scritti Corsari”, del regista di “Accattone”, “Mamma Roma”, “Uccellacci e uccellini”, del pittore, del poeta, dello sceneggiatore, del giornalista.
E’ il corpo violato dell’intellettuale che nel 1968, dopo gli scontri tra giovani e polizia a Roma, con coraggioso anticonformismo accusò gli studenti di falsa rivoluzione: «Ho passato la vita a odiare i vecchi borghesi moralisti, e adesso, precocemente devo odiare anche i loro figli… La borghesia si schiera sulle barricate contro sé stessa, i ‘figli di papà’ si rivoltano contro i ‘papà’. La meta degli studenti non è più la Rivoluzione ma la guerra civile. Sono dei borghesi rimasti tali e quali come i loro padri, hanno un senso legalitario della vita, sono profondamente conformisti. Per noi nati con l’idea della Rivoluzione sarebbe dignitoso rimanere attaccati a questo ideale».
E’ il corpo insultato dell’uomo che pochi mesi prima di morire, nell’estate del 1974, aveva già individuato il processo degenerativo che avrebbe caratterizzato la società italiana nei decenni successivi: «L’Italia è un Paese che diventa sempre più stupido e ignorante. Vi si coltivano retoriche sempre più insopportabili. Non c’è del resto conformismo peggiore di quello di sinistra, soprattutto naturalmente quando viene fatto proprio anche dalla destra”. E che profeticamente aveva anche affermato: “Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili per l’Italia”.
In quella maledetta notte di quaranta anni fa, in quel volgare campo nell’hinterland romano, in quella Ostia che oggi è prigioniera di un pericoloso intreccio tra politica e malaffare, forse, oltre ad assassinare ferocemente l’artista maledetto, si è voluto uccidere ciò che Pasolini rappresentava per questo Paese: una mente libera e trasgressiva, una voce autonoma e indipendente, ma soprattutto un leader realmente rivoluzionario che dall’alto del suo magistero postulava: “Del tempo antico e del tempo futuro rimarrà solo la bellezza”.