di Walter Falgio* – Nino Garau è stato un partigiano, padre di tre figli, un marito, funzionario del Consiglio regionale della Sardegna sino a diventarne il segretario generale. Ha combattuto la guerra contro i nazifascisti nel modenese, nel territorio di Spilamberto e dei Comuni vicini, tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile del 1945. Era nato a Cagliari il 12 dicembre del 1923 e lì è morto il 12 luglio scorso. Oggi avrebbe compiuto 97 anni.
Nel 2006 Garau decise di interrompere un silenzio durato più di sessanta anni iniziando a raccontare la sua storia di lotta e scegliendo come interlocutori privilegiati giovani e studenti ai quali consegnare le proprie memorie nelle decine di incontri tenuti sino a pochi mesi prima della sua morte.
Questa scelta per nulla scontata, per nulla facile e per nulla prevedibile ha rappresentato uno spartiacque sia per l’ex combattente sia per chi ha avuto il privilegio di ascoltare le sue parole.
Sarebbe importante «trasmettere ai miei figli questa eredità immateriale: una nozione della dura, durissima storia da cui indirettamente provengono, attraverso il travaglio infantile e inane dei loro nonni, ma soprattutto attraverso il travaglio giovanile e fondante di chi si è battuto contro i fascismi per fare l’Italia libera», scrive lo storico Sergio Luzzatto nel libro Partigia sulla breve esperienza resistenziale di Primo Levi (Mondadori, 2013).
Sarebbe ed è importante e necessario raccogliere questa eredità ogni giorno di più, ogni giorno che trascorre e che ci allontana dalla ormai rara opportunità di incontrare testimoni vivi della Resistenza.
La vicenda di Garau appare in questo senso esemplare e generatrice di sensazioni, uno straordinario racconto di vita che solleva non solo interrogativi di carattere storiografico ma affascina, conquista e impone la riflessione su temi oggi decisivi e irrinunciabili: la tutela delle libertà costituzionali, il rispetto dei principi di uguaglianza e pari dignità, la tolleranza. Niente di meno che l’armamentario primario della democrazia.
Nino è giovanissimo, non ha ancora compiuto vent’anni quando l’8 settembre 1943 si trova sbandato, «senza più gli ufficiali», e abbandona con l’abito bianco della divisa estiva il corso “Zodiaco ’41” dell’accademia aeronautica, trasferita a Forlì da Caserta dopo lo sbarco alleato.
Il cagliaritano sceglie di raggiungere il modenese dove sa di poter contare sull’ospitalità di alcuni parenti della madre. E lì senza troppi preamboli incontra la Resistenza che ha la voce e il volto di un cugino, Gino Gibertini.
«Era un accanito antifascista», scrive Garau di lui nella sua memoria ancora inedita, «aveva un mulino ad acqua a San Vito, grossa frazione del Comune di Spilamberto e vedendomi spaesato senza far niente, mi chiese cosa ne pensassi del fascismo. Io risposi: voglio che finisca la guerra».
La scelta di unirsi agli oppositori del regime di Mussolini e del nazismo fu immediata e il giovane Garau, sostenuto dalla popolazione, dalle donne e dagli uomini, dagli anziani e dai più piccoli, riesce a costituire e a comandare una brigata partigiana che sarà intitolata a uno dei caduti sul fronte della guerra di Liberazione, impiccato per rappresaglia da fascisti e tedeschi a Ospitaletto sul Panaro il 13 agosto del 1944: Aldo Casalgrandi.
Garau imbraccia il fucile come tanti della sua generazione senza coscrizione, per cacciare un invasore, porre fine al ventennio più buio del Novecento, gettare le basi per una nuova convivenza civile: «Era cioè una rivolta contro il potere dell’uomo sull’uomo, una riaffermazione dell’antico principio che il potere non deve averla vinta sulla virtù», scrive Claudio Pavone in Una guerra civile (Bollati Boringheri, 1991).
Il nome di battaglia del sardo in armi sarà Geppe.
Durante la sua guerra nella pianura emiliana Garau acquista consapevolezza politica: «Mai avrei pensato facendo la vita che facevo a Cagliari, che potesse esistere questo ceto di popolazione maltrattata, che potessero esistere alcune persone che, solo per una parola critica contro il fascismo, venissero arrestate e buttate in galera», dirà.
Si scontrerà con l’ingiustizia e la povertà, rischierà la vita e, per mano di una compagnia tedesca antipartigiana in uno scantinato di Ciano d’Enza, vicino a Canossa, subirà torture che trovò la forza di descrivere: «Due litri e mezzo di acqua sporca buttati giù con l’imbuto, ancor oggi ne risento. Botte a non finire. Ricordate i cerini S.A.F.F.A.? Quelli di legno piatto? Ce li infilavano sotto le unghie e davano fuoco».
Molto malandato fu sbattuto in una cella a Verona ma riuscì a evadere anche grazie a un compagno di cella sardo, Spartaco Demuro. Fu salvato dalle cure di una famiglia di San Vito, i Balugani, e tornò a combattere fino alla Liberazione della città di Spilamberto, il 23 aprile 1945, prima dell’arrivo delle truppe alleate.
Ogni anno in quella data il Comune in provincia di Modena guidato dal sindaco Umberto Costantini ricorda la grande battaglia di Garau e della sua Brigata, di tutte e di tutti i cittadini che non voltarono le spalle e si misero in gioco sino alla fine.
La storia di Garau è uno dei tanti esempi di coerenza e determinazione che possono e devono essere letti e riletti, senza retorica, utilizzando semplicemente le sue parole essenziali e dirette e osservando il cuore e la forza dei fatti.
* giornalista e storico
***
Questo articolo e tutti gli articoli pubblicati da B-hop magazine sono originali e tutelati dal diritto d’autore. Per chiedere l’autorizzazione alla pubblicazione dei contenuti su altri siti o blog, riproduzione in qualsivoglia forma o sintesi, contattare info@b-hop.it e citare l’autore con link alla fonte.
- Se sei arrivato fino in fondo e ti è piaciuto questo articolo….
- Oppure puoi fare una donazione via PayPal all’associazione di promozione sociale B-hop semplicemente cliccando su questo link: https://www.paypal.me/bhopmagazine