dalla nostra corrispondente a Parigi – Mercoledì sera a place de la République pare fossimo in 38.000. Il colpo d’occhio appena arrivata è stato impressionante. Ai lati della piazza c’erano persone arrampicate ovunque: sulle panchine, sui cornicioni delle finestre, sulle impalcature di un palazzo in ristrutturazione, sui tetti delle pensiline.
E sulla Marianne: la colossale statua che domina la piazza delle manifestazioni di Parigi, era circondata di persone. Su di lei, attorno a lei, sotto di lei, decine di uomini e donne accendevano candele, spiegavano striscioni, sventolavano bandiere. In silenzio. Tutti. Composti e uniti, tanti di loro tenevano muti tra le mani un cartello nero con su scritto “Je suis Charlie”. Perfino sul tettuccio di una carrozzina si è vista, tra la folla, capeggiare la scritta, lo slogan che da mercoledì è diventato il manifesto della strage alla redazione di Charlie Hebdo.
Ho appreso la notizia da internet. Ero in casa, nella mia stanza, davanti al mio computer. Messaggi, chiamate, tutti increduli. Eppure la vita ci chiama alla realtà, in qualsiasi momento. Anche in questo. Esco di casa nel pomeriggio, titubante, mi immagino una città sotto assedio, la polizia davanti al portone. E invece no. E invece la metro è aperta, funziona, la vita pulsa. Quand même.
Poi, la chiamata a un amico mi riporta sul fatto. Andiamo a place de la République, tutti si incontrano lì. Tutti chi, ma come lo sai? Lo so. E ci incamminiamo. È alla fine del boulevard, quello che sfocia nella piazza, che comincio a rendermi conto di cosa è successo. Tutti convergiamo lì, da ogni dove, da chissà dove, chi l’ha deciso. Ma dovevamo essere lì.
Mercoledì sera c’era tutta Parigi a place de la République, silenziosa, composta, indignata, incredula. Una marcia senza inizio, una convergenza senza decisione, ci ha portati tutti lì. Per essere lì. Come se l’essere lì fosse l’unica occasione per acclarare quello che ognuno di noi aveva visto su uno schermo. E la presenza dell’altro, lì, accanto a noi, potesse essa sola testimoniare i nostri sentimenti. La nostra presenza a place de la République era la prova, necessaria e cercata, che quanto avevamo visto o sentito fosse reale. E che fosse di tutti.
Il silenzio ce lo ha confermato. La presenza, densa e compatta, ha sostanziato le centinaia di immagini che sono scorse senza sosta davanti ai nostri occhi. Nella piazza ammutolita, solo si alza di tanto in tanto un grido: “liberté”. Poi, qualcuno dai piedi della Marianne fa spiccare verso l’alto una lanterna cinese. Tutti gli sguardi si rivolgono a lei, e un lungo applauso accompagna il suo viaggio verso il cielo.