C’è un mondo che si cerca di non conoscere, spesso di non vedere. Un mondo che esiste ma rimane invisibile agli sguardi dei più perché infastidisce, disturba o, peggio ancora, spaventa. Stiamo parlando dei poveri, dei meno abbienti, dei clochards, degli ultimi che rimarranno ultimi.
Nelle strade se ne incontrano sempre di più, le loro file si stanno ingrossando in modo costante ed esponenziale, sono spesso disoccupati permanenti, quelli che, magari arrivati nel bel mezzo del cammin di propria vita, sono stati estromessi brutalmente e senza speranza dal mondo lavorativo.
Di due di loro vogliamo dare notizia perchè ci raccontano storie piene di dignità e coraggio.
Li possiamo incontrare a Roma, nel quartiere Prati, un quartiere abitato da famiglie borghesi e frequentato, considerando la vicinanza della Basilica di San Pietro, da pellegrini provenienti da tutto il mondo.
Non si conoscono ma entrambi, sicuramente per una scelta del caso, “lavorano” a pochi metri l’uno dall’altro. In comune hanno anche un altra importante caratteristica: nessuno dei due porge il cappello o la mano, nessuno dei due possiede lo sguardo disperato di chi è costretto all’umiliazione dell’elemosina.
I due, fieramente, si sono inventati un lavoro nel mondo dello spettacolo.
Il Primo Ultimo (non c’interessa il suo vero nome) è fermo davanti ad un semaforo. Affronta, con un pallone di cuoio sotto braccio, un pubblico composto da automobilisti inferociti (Prati è un quartiere asfissiato dal traffico).
Il Primo Ultimo non è più un giovanotto e come tale non gode più di un fisico asciutto, lo si vede raggiungere con fatica il centro della carreggiata, con indosso un maglione usurato che gli fascia impietosamente il largo addome, con il sudore che gli gronda dalla fronte ed il viso paonazzo per la precedente performance.
Eppure, quando tutte le macchine sono ferme davanti a lui, inizia un palleggio con la testa che è una vera e propria danza. Si muove con leggiadria e leggerezza, un pò come gli ippopotami in tutù di disneyana memoria. Mai una volta fa cadere in terra lo strumento della sua arte.
Poco prima che il semaforo torni a far correre le autovetture, il Primo Ultimo torna a stringere il pallone sotto il braccio e, controllando l’affanno, s’inchina orgogliosamente davanti al suo gentile pubblico. Ovviamente, chi lo ritiene opportuno, può ringraziarlo per lo spettacolo offerto con un piccolo contributo economico. Ma non troppo piccolo perchè Primo Ultimo potrebbe offendersi in quanto ha un’alta considerazione del suo spettacolo.
Il Secondo Ultimo lo si può trovare davanti all’ingresso di una grande libreria.
Anche per lui il tempo è trascorso lasciando segni. Seduto su una seggiolina pieghevole, un liso cuscino a proteggerlo, un precario leggio, accompagnato da una modesta base musicale canta i brani della sua memoria.
Accanto, seduta anche lei su un misero sgabello, la sua donna. Lei lo protegge, l’osserva e l’ascolta con lo stesso sguardo innamorato di quando erano ragazzi.
Il suo pubblico è il quartiere, perchè quelle melodie, ancorchè cantate con voce meno forte e sicura di un tempo, riescono comunque a prevalere sulla disarmonia della strada e a spandersi, come una desiderabile fragranza, nelle vie.
Secondo Ultimo non alza mai lo sguardo da quel leggio, non vuole e non può sbagliare neanche una nota, si limita ad un sorriso ed un rapido cenno della testa per chi dimostra di apprezzare la sua arte.
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