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Home Primo Piano

Migranti, al Cara di Castelnuovo di Porto sfila un pezzo dell’altra Italia

di Maria Ilaria De Bonis
23 Gennaio 2019
in Primo Piano, Se ne parla
Tempo di Lettura: 4 mins read
25 1
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(di Maria Ilaria De Bonis) – Un corteo silenzioso, composto, partecipato per dire no ad una «palese violazione del diritto». Ieri sera a Castelnuovo di Porto è andata in scena un’altra Italia: centinaia di persone si sono date appuntamento in strada, lungo la via Tiberina per protestare contro l’improvvisa chiusura del Centro di prima accoglienza per richiedenti asilo. Più il tempo passava più il gruppo cresceva, anche grazie al tam tam dei social, dando vita in poche ore ad una marcia solidale.

Alle sei del pomeriggio erano almeno in trecento attorno al casermone in cemento armato del Cara, che chiude i battenti per effetto del DL sicurezza. Più che rabbia si respirava lo sconcerto di una notizia «immotivata» e arrivata senza preavviso.

Sono circa 300 gli ospiti del centro portati via un po’ alla volta. Alcuni sono già partiti; verranno trasferiti altrove, in strutture più piccole, si dice. Dove, non è dato sapere, tra Abruzzo, Marche, Toscana.

«E’ una realtà che funziona questa! Si sta smantellando quello che funziona meglio», protestano gli operatori sociali che lavorano al Cara.

«E’ l’effetto nefasto della conversione in legge del Decreto Salvini – spiega sottovoce a B-hop il sindaco di Cerveteri Alessio Pascucci, mentre siamo in marcia – Ma non sarà l’unico vedrete! Non ci è stato possibile presentare gli emendamenti al decreto».

Pascucci sfila assieme al parroco di Santa Lucia, Josè Manuel Torres, ai parrocchiani, ai compaesani, al sindaco di Castelnuovo, Riccardo Travaglini.

I ragazzi ospiti, come Malan Dabo, 19 anni della Guinea Bissau, sono frastornati. Nessuno sa bene che fine farà. Soprattutto a preoccuparli è il fatto che verranno smistati, divisi, separati.

«Io vivevo qui al campo da tre mesi – continua Malan, il Cara lui lo chiama campo, come i tanti per i quali è dovuto passare negli ultimi anni – Questi sono i miei amici». Con la mano ci indica altri ragazzini come lui, di Senegal, Gambia, Pakistan.

Quasi non ci credono di essere immersi in una marcia di protesta con tanta gente che fa il tifo per loro. Le espressioni del viso, a metà tra sgomento e stupore, tradiscono anche un po’ di orgoglio per essere finalmente protagonisti di qualcosa.

Arrivati proprio davanti all’ingresso del Centro, tra le bandiere rosse della Cgil (che qui rappresenta i diritti dei lavoratori della cooperativa Auxilium), e i manifesti spontanei («l’unica legge giusta è la non violenza», scrive Giulia), il sindaco Travaglini prende pubblicamente parola.

«Mi auguro che non ci lascerete soli – dice – perché noi saremo qui fino all’ultimo, nella speranza che il governo ripensi a questa scelta e che dia tempo a Castelnuovo di riformulare un nuovo tipo di accoglienza, anche diffusa, in modo che non si perdano le competenze acquisite».

In prima fila, dietro lo striscione bianco e verde dell’ Auxilium sfilano alcuni dei 120 lavoratori del Centro.

«Forse verremo ricollocati», spera Dora Mangione, operatrice socio-assistenziale del Cara.

«Che ci aspettiamo adesso? – dice – Un miracolo di Padre Pio! Ecco che ci aspettiamo».

«Ci è stato comunicato della chiusura del Cara appena due giorni fa», racconta ancora Dora, che ha 55 anni, è siciliana e fa questo mestiere da 15.

«Qui dentro le persone si sentono protette – spiega –  hanno comunque una guida, perché sanno che noi gli indichiamo un percorso da seguire… Dietro ognuno di questi ragazzi ci siamo noi!».

A Dora viene da piangere quando parla degli ospiti del Centro: «i ragazzi mi vedono come una mamma, mi confidano i primi amori. Passano almeno otto mesi qui dentro con noi, il tempo necessario per ambientarsi. Ricevono quello che gli spetta, cerchiamo di accontentarli in tutto».  Alla notizia della chiusura «chi ha pianto, chi è andato nel panico, chi era confuso», ricorda Dora.

Il corteo pian piano si scioglie, la gente chiede al sindaco che cosa potrà fare ancora domani, e poi dopodomani, per continuare questa battaglia.

Molti vogliono che la manifestazione non finisca qui; sanno che nei prossimi mesi servirà tutta la partecipazione di chi la pensa diversamente; chiedono un’altra politica ed altre leggi.

Il lavoro è appena iniziato, questa non è che una “prova generale” di solidarietà diffusa, fanno sapere amministratori, attivisti e giornalisti militanti.

Di certo ne vedremo delle belle: il desiderio di dissenso è forte, «un’altra Italia sta crescendo», come dice il sindaco Travaglini, ed è in marcia perpetua.

Restare in rete, seguire gli eventi, non disperdersi, questo suggeriscono gli altri cittadini, il mondo del volontariato, la società civile già molto attiva.

Ed è forse anche questa un’occasione di riscatto per un’Italia che non ci sta a farsi scippare “per decreto” un’umanità ancora resistente. Che non vuole cedere all’assuefazione.

 

 

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Maria Ilaria De Bonis

Maria Ilaria De Bonis

Giornalista professionista, mi sono occupata di economia e finanza in passato. Ora scrivo di Medio Oriente, Africa, povertà. Io B-hop perché «ho voglia di raccontare la forza, l'energia e il riscatto. La sana ribellione di chi ogni volta rinasce. E fa più bello il mondo».

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