di Agnese Malatesta – Quando si pensa ai bambini e ai ragazzi in questo periodo, è frequente un richiamo al loro vivere in solitudine. Lontani dalle aule, dai centri sportivi, dagli oratori, o da ogni tipo di locale, i più giovani non possono stare insieme. L’emergenza pandemica impone un isolamento a cui non erano abituati. “Mancano le emozioni del contatto” dice la filosofa Michela Marzano a B-hop magazine.
Quelle emozioni che in giovane età sono un pilastro, l’arricchimento personale che solo la presenza permette e che si sperimenta nell’incontro con ‘l’altro’, con lo sguardo, con la vicinanza, con il calore umano. Unico e possibile contatto del momento è col freddo virtuale, col pc, col cellulare, con l’amata e odiata didattica a distanza (dad).

E allora, che adulti saranno i ragazzi di oggi? Hanno senso gli apocalittici scenari sulla compromessa crescita dei futuri uomini e donne? Proviamo a ragionare in un colloquio con Marzano, docente all’Università Sorbona di Parigi che, sul tema, premette decisa:
“La didattica va fatta per forza in presenza. A distanza c’è freddezza, manca il contatto emotivo, un riscontro espressivo sul viso”,
requisiti fondamentali per l’apprendimento e la crescita, per alimentare una proficua relazione studente-insegnante. Ma avverte anche: niente catastrofismi. Come in ogni cosa, ci sono aspetti positivi, da valorizzare, che guardano al futuro e a possibili cambiamenti da considerare.
Ad esempio, il rapporto con le tecnologie informatiche: “Il collegamento online ha costretto molti insegnanti ad utilizzare strumenti a loro estranei, invece molto familiari ai ragazzi. È stato uno stimolo, una competenza che rimarrà anche quando finirà l’emergenza e che apre nuove prospettive nelle relazioni e nella didattica. Auspico che dopo la fine dell’emergenza si possano trovare nuove modalità di comunicazioni integrate e complementari, soprattutto a partire dall’ultimo anno del liceo. Penso ad esempio, allo scambio di mail e all’uso di Skype”, modalità che possono senz’altro arricchire le relazioni.
C’è un aspetto più generale che chiama in causa ognuno di noi. “Ci troviamo in un momento – dice Marzano – in cui abbiamo capito che l’organizzazione che ci eravamo dati, ci è sfuggita di mano, ci è crollato un modello che avevamo sotto controllo, pensavamo alla perfezione.
Pensiamo che una vita con momenti difficili, anche di fallimenti, sia negativa. Invece io penso che possano essere utili, tutto dipende da come si riesce a trasformare questi vissuti”.
Ma la didattica a distanza resta una questione controversa, va distinta l’età degli studenti.
“Ci sono indagini che non hanno una visione così negativa della didattica a distanza, anzi, viene vista in modo positivo. I miei stessi studenti – osserva la filosofa – si esprimono a maggioranza per le lezioni a distanza, le preferiscono. Ma qui si tratta di universitari e questo va considerato. Quando invece si parla di bambini delle elementari o delle medie la questione cambia. Lì la didattica a distanza non funziona. I più piccoli hanno un fortissimo bisogno del contatto fisico nella quotidianità. Hanno bisogno della possibilità di trovarsi con gli altri e anche di giocare insieme. È un bisogno che serve per crescere. In questa fascia di età la didattica a distanza è complicata”, andrebbe evitata.
È “davvero difficile prevedere” come questi bambini risentiranno negli anni dell’attuale esperienza: “Non è un momento semplice per loro, penso ci sia bisogno di un accompagnamento. Bisogna star loro vicini. Penso ai genitori che dovranno supplire a certe mancanze”. E poi, in prospettiva, “non sarà facile riscoprire il contatto, riallinearsi, cambiare di nuovo abitudine”.
Ma la storia insegna. Davvero un’emergenza crea danni fatali? Anche qui niente catastrofismi, dice Marzano: non va sottovalutato il “riscatto che c’è” nelle vicende umane, c’è sempre anche quando si vivono momenti drammatici.
“Le esperienze negative – sottolinea – possono essere risorse ma perché queste si attivino serve la trasformazione del trauma, serve una rielaborazione”. Anche in tempo di guerra, i bambini e i ragazzi hanno dovuto confrontarsi con delle mancanze, eppure – prosegue la filosofa – “sono cresciuti e sono diventati adulti. C’è stato un fiorire” dopo l’emergenza di situazioni positive, di avanzamenti personali e sociali.
“Un trauma e un dolore – osserva ancora Marzano – possono bloccare una crescita, una vita, ma possono anche essere motori di una reazione positiva. Lo ripeto, dipende da come si rielabora. Si tratta di una trasformazione che riguarda sempre la persona ma che in questo caso della pandemia, chiama in causa anche la collettività. Alla fine dell’emergenza sanitaria, sarà necessaria anche una rielaborazione collettiva di questo difficile periodo che stiamo vivendo”.
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