“Quanto dura Pierpa’?” “Un’ora e dieci e passa la paura!” Così un radioso e peripatetico Pierpaolo Palladino accoglie pubblico e amici nella “maggica” cornice romana trasteverina del Belli, teatro diretto dal mitico Antonio Salines (i pochi che non lo conoscono vadano a (ri)vedere lo Smerdjakov dei Karamazov televisivi di Sandro Bolchi), per la prima di Lost in Rome, in scena fino al 5 febbraio. Palladino è autore del testo e regista.
È simpatico Palladino (cuore giallorosso), ma soprattutto è un uomo, prima che attore, scrittore e regista, che ama mettersi in gioco, che trova occasioni di arte e bellezza dove altri non vedrebbero che degrado e umiliazione. Per esempio nelle carceri, dove ha dato vita a vivaci laboratori teatrali, o nella difficile realtà dell’handicap, come in Un Natale tra code e gelo, un suo cortometraggio, interpretato da tre ragazzi diversamente abili. Uno di loro, raccontava Palladino in un’intervista, “ha difficoltà a capire cos’è il multiplo di tre, però riesce a capire concettualmente cosa significa improvvisare”.
E allora chi meglio di lui potrebbe farci perdere dentro una Roma piena di magagne, dalle mille buche e ruberie, dove la sua grande bellezza può anche schiantare. Una città che un giovane giornalista deve raccontare in positivo ed entra in crisi, perché non ne riconosce più l’incanto, finché una zattera onirica e dei compagni di viaggio lo porteranno a vedere Roma dall’alto (anche della storia) e a (ri)scoprirla di nuovo. Bello il coinvolgimento di tre “matti meravigliosi” come quelli della Banda dell’Uku, Fabrizio Sartini, Luca Sgamas e Luca Lepore, che dissacrano tutta la musica e tutta la reinventano e nobilitano, mentre, per la prima volta su un palcoscenico, Maddalena Fogacci Celi, deliziosa giovane violinista, suona, canta e si diverte.
Alt! Per divertire c’è bisogno di un grande attore e Palladino ce l’ha. Si chiama Angelo Maggi. Confesso che non l’avevo mai sentito nominare eppure senza saperlo lo conoscevo, perché dà la sua voce italiana a Tom Hanks e ad altre star di Hollywood del calibro di Hugh Grant e Bruce Willis. In teatro Maggi sta in scena come a casa sua, e si vede che si diverte un mondo. Lui, laureato in biologia, che voleva allevare conigli e che si ritrovò quasi per caso a lavorare con Vittorio Gassman, Mario Carotenuto, Vittorio Caprioli. Poi per tre anni ha girato il mondo con Giorgio Albertazzi e l’Enrico IV di Pirandello e non ha più smesso di doppiare pellicole, recitare, calcare le scene teatrali.
È simpatico Maggi (cuore giallorosso). È un grande interprete che si definisce un romano atipico, perché rigoroso. Un appassionato del vernacolo della nostra città, che con altri nove suoi colleghi ha partorito l’idea di un’opera monumentale che metta in voce i sonetti del Belli, più di duemila.
In Lost in Rome, fra Belli e Pink Floyd, Trilussa e Leonard Cohen, Marè e Trovajoli, Palladino tesse per Maggi un copione che forse alla fine non lega tutto perfettamente. Ma in fondo, detto con il vernacolo, chissenefrega, lo spettacolo funziona, ci si diverte e si riflette anche molto sul senso della vita.
E allora Forza Lost in Rome, e naturalmente Forza Roma.
P.s. Ora ho capito perché Tom Hanks è così bravo.