di Massimo Lavena – Quanto può esser difficile, oggi, raccontare a un bambino chi è un santo? E se quel santo, Rosario Livatino, è un santo di tutti giorni, una persona normale, un “giudice ragazzino”, che venne ucciso sulla strada, sulla sua macchina, crivellata di colpi, come si può far capire a un bambino – ma anche a un adulto – che la brutalità del male può essere sconfitta dalla semplice bellezza di una vita vissuta pienamente?
Marilisa della Monica, giornalista del settimanale della diocesi di Agrigento “L’amico del popolo” e collaboratrice del quotidiano “Avvenire”, si è messa alla prova con la vita di questo giovane eroe dei nostri giorni, il giudice Rosario Livatino, ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990, del quale è in corso il processo di beatificazione.
Ha scritto un libro, che si intitola semplicemente “Rosario Livatino“, rivolto ai bambini ma aperto alle domande degli adulti che spesso hanno bisogno di parole leggere per accogliere i fatti della vita.
“Raccontare e spiegare ai bambini chi sia stato Rosario Livatino e l’eredità che ci lascia non è stato facile, ma spero di esserci riuscita”.
Raccontaci la Storia: chi era Rosario Livatino?
Rosario Livatino era un bravo magistrato e un uomo di grande fede. Sembrerebbe tutto così normale se non fosse per il fatto che all’età di 38 anni venne barbaramente ucciso per mano mafiosa.
Il perché della sua morte? Semplicemente perché dava “fastidio” con i suoi provvedimenti – fu tra i primi a sequestrare i patrimoni dei mafiosi – e con il suo essere integerrimo amministratore della giustizia.
Siamo sul finire degli anni ’80 ed inizio dei ’90 del secolo scorso, la mafia in Sicilia ha ancora un ruolo predominante nell’economia e nella vita sociale dell’isola. La provincia di Agrigento è protagonista di una guerra di mafia tra appartenenti a Cosa Nostra e i fuoriusciti “stiddari” che porterà allo spargimento di sangue. Rosario Livatino opera proprio in questo particolare momento storico.
E quel lavoro che tanto amava e per il quale spendeva tutto il suo essere sarà poi la causa della sua morte.

Perché presentare Livatino ai più piccoli? Perché presentare Livatino ai più grandi?
Il libro anche se rientra nella collana “Piccoli semi” rivolto a lettori dai 5 agli 8 anni, è un mezzo attraverso il quale i genitori, gli insegnanti, i catechisti, possono conoscere la figura di quest’uomo e farla conoscere ai loro figli e ai loro alunni. Con le magnifiche illustrazioni di Francesca Carabelli, vuole far conoscere aspetti della figura di Livatino non ancora apertamente raccontati. L’infanzia, il tempo della scuola e dell’università, gli amici, gli amori, gli anni dell’ingresso in magistratura. Un Livatino “più umano” e meno “santino” che aiuti a far comprendere la grandezza di questo “martire della giustizia”, come lo ha definito Papa Giovanni Paolo II.
La grandezza di Rosario Livatino è il suo essere extra ordinario nella sua normalità. Se ci pensiamo bene è un “facile” esempio da seguire: basta “semplicemente” essere coerenti con quanto si professa di credere.
È forse banale? Riflettendoci bene non tanto. Quanti di noi, nel loro quotidiano, sono sempre coerenti tra ciò che dicono e il loro agire? E quanto da noi professato (se credenti)?

La sua formazione civica, professionale, umana è, per i credenti, punto fondante della santità. Come si manifestava in lui?
Rosario Livatino da cattolico sapeva uniformare la sua condotta alle regole della fede in cui credeva, avendo trovato nella religione le necessarie risposte e i necessari stimoli a proseguire nel suo cammino di vita privata e professionale. Scrive egli stesso nella conferenza “Fede e Diritto” del 1986 «[…] Proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio. Un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio. Un rapporto indiretto per il tramite dell’amore verso la persona giudicata. […]
Il rispetto dell’uomo sempre, sia esso indagato, reo confesso, colpevole o presunto colpevole, in ogni uomo deve essere tutelata la dignità, ogni uomo merita il rispetto derivante dall’essere creatura di Dio. Una banalità del bene che alla fine palesa tutta la grandezza di un uomo che fino alla fine ha dimostrato amore anche per i suoi assassini.

Che significato ha oggi la parola “martire”?
Nell’immaginario collettivo forse ci siamo un po’ allontanati dal prototipo di martirio a cui eravamo abituati. Oggi non ci immaginiamo più il martirio a cui furono sottoposti i primi cristiani. Credo che oggi il martire sia chi, come Livatino, viene ucciso perché professa fino alla morte ciò in cui fermamente crede. Colui il quale, senza indietreggiare un solo momento, va avanti per la strada in cui crede anche se questo gli sarà causa di dolore e – nel caso di Rosario – di morte.
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