(di Filippo Bocci) – Leonard Bernstein, o più semplicemente “Lenny”, è un genio della musica del ‘900, tanto vasta e duratura è la sua popolarità e costante l’affetto del pubblico e degli appassionati.
Nato il 25 agosto del 1918 a Lawrence nel Massachusetts, è stato pianista, direttore d’orchestra, compositore, divulgatore musicale.
Ma perché Bernstein è così importante? Perché tutto il mondo lo ricorda e ne festeggia quest’anno il centenario? Di lui è stato detto:
“Il più grande pianista tra i direttori, il più grande direttore tra i compositori, il più grande compositore tra i pianisti”.
L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma, di cui fu Presidente Onorario dell’Orchestra e del Coro dal 1983 al 1990, ha eseguito lo scorso anno l’integrale delle sue sinfonie e ha inaugurato la nuova stagione con l’opera di sicuro più conosciuta, West Side Story, in una applauditissima versione in forma di concerto diretta da Antonio Pappano. Chi non ha in testa le melodie di Tonight, o Maria o Somewhere?
Recentemente la casa editrice il Saggiatore ha pubblicato, a cura di Giovanni Gavazzeni, la prima edizione italiana di Scoperte (Findings), gli scritti personali che Bernstein aveva raccolto nel 1982. Potrebbe essere il nostro punto di partenza alla scoperta di un musicista così prestigioso e versatile.
Si tratta di un racconto travolgente e a tutto tondo, quarantacinque anni di una vita colma di incontri, arte, passioni. Il Maestro ha collezionato una serie di testi che spaziano dalla tesi di laurea ad Harvard nel 1939 allo splendido saggio Il suo tempo è arrivato, datato 1967 e dedicato a Gustav Mahler, della cui musica fu paladino e generoso divulgatore, fino ad arrivare alle appassionate parole del 1980, come lasciate in eredità, sul futuro dell’orchestra sinfonica.
Dotato già in gioventù di grandissima personalità fu sempre contrario alle tirannie della moda. In una prefazione ad un libro di Charles Schwartz su George Gershwin del 1973, ricorda di quando studente ad Harvard aveva causato uno scandalo, parlando della sua passione per Čajkovskij:
“Era considerata un’eresia oltraggiosa; Čajkovskij a quel tempo era messo un gradino sotto il disprezzo, come Verdi”. Lo stesso era per Gershwin: “Il nome quasi non si pronuncia. La Critica Altolocata non permette che il nome entri nella categoria dei Compositori Significativi”.
Ricco di un ingente apparato fotografico, Scoperte ci introduce con sorpresa a un Bernstein poeta intimo e allora citiamo a caso:
“La vita è l’alga, le uova di pesce,/ L’armata verminosa/ Che divora il corpo d’un vecchio persico/ Sbattuto tra le erbacce”. E ancora: “Le stelle erano troppo/ luminose. Non erano mie./ Ferivano i miei occhi e il cuore, come qualcuno/ morto con i sogni, qualcuno che mai potrà/ appartenere a quelli attorno a lui./ Così le stelle non appartengono a me,/ né io a loro, né ad altro uomo”.
E poi c’è il Bernstein ebreo – “parecchio materiale di questo volume ha origine nei miei sentimenti ebraici” – con il padre e la sua “usurata copia del Talmud” nel cassetto del comodino; il Bernstein soprattutto di Kaddish, la sua terza sinfonia, cantata e recitata in aramaico e in inglese, grido straziato verso il silenzio di Dio – “Dio di latta! La tua alleanza è di latta” – verso la morte incombente, fino allo splendido finale della voce recitante:
“Abbiamo sognato il nostro Kaddish, e ci siamo risvegliati, vivi… Siamo una cosa sola, dopo tutto, tu ed io. Insieme soffriamo, insieme esistiamo, e per sempre ci ricreeremo l’uno con l’altro”.
E come tralasciare il Lenny degli Young People’s Concerts negli anni ’50, dove, autorevole affabulatore, riusciva magicamente a decifrare per i bambini l’universo della musica, facendo leva sulla loro curiosità, egli stesso inesauribile scopritore.
Un aspetto poco conosciuto ma importantissimo di Bernstein riguarda la sua biografia “politica”. L’FBI teneva un corposo fascicolo di 700 pagine su di lui e nel 1953, in piena caccia alle streghe maccartista, gli fu ritirato il passaporto, perché era ritenuto una minaccia per la sicurezza nazionale. Si salvò soltanto con una dichiarazione giurata in cui faceva ammenda dei suoi ideali politici.
Queste vicissitudini sono raccontate nel saggio/biografia di Barry Seldes Leonard Bernstein. Vita politica di un musicista americano, in edizione italiana del 2011 per EDT, un’opera molto accurata e peraltro originalissima, perché esplora il musicista da un’angolazione su cui nessuno si era mai concentrato.
Dice Barry Seldes: “Si tratta di un’incresciosa lacuna, perché Bernstein fu un artista estremamente coinvolto dal punto di vista politico… Ignorare l’impatto delle forze della politica su Bernstein significa perdere molto di ciò che lo animava e lo motivava”.
Non dimentichiamo che fu lui, poco prima di morire, a dirigere la Nona di Beethoven nella Berlino appena riunificata dopo la caduta del Muro.
Leonard Bernstein fu un eccezionale pianista, impeccabile esecutore di Mozart, Ravel, Gershwin, ma il suo ricordo è soprattutto legato alla direzione d’orchestra, ed è veramente uno spettacolo nello spettacolo osservarlo dirigere le integrali delle sinfonie di Beethoven, di Mahler, di Schumann, di Brahms. Trascina vederlo saltare sul podio, intenerisce cogliere l’infantile divertimento mentre è alle prese con il suo Candide, e dà i brividi la religiosità dell’approccio alla musica di Gustav Mahler, come lui ebreo. Citiamo ancora da Scoperte:
“Un direttore è automaticamente un narcisista… Ha una pompa aspirante attaccata al suo ego, e nessun fiume di lodi è grande abbastanza per dissetarlo… Vedete, la motivazione è tutto. La differenza sta fra il direttore che è vanesio solo per sé stesso e il direttore il cui ego si gloria nel radioso riflesso della creatività musicale. Entrambi possono apparire narcisisti, ma le loro motivazioni possono essere differenti come esatti opposti”.
Il suo gesto non aveva nulla di classico: c’era piuttosto la fisicità della passione, per veicolare al meglio le suggestioni di una partitura. Ogni parte del suo corpo concorreva a trasmettere l’intenzione agli orchestrali, fino all’uso estremo della mimica facciale.
La sua arte di compositore ha spaziato dalla musica per orchestra, con le tre sinfonie, a quella da camera, dalle opere teatrali – oltre a West Side Story ricordiamo almeno Candide e Wonderful Town, – alle canzoni, fino a scrivere le musiche per Un giorno a New York, pellicola di Stanley Donen e per Fronte del Porto di Elia Kazan, film per il quale ebbe anche la Nomination all’Oscar nel 1954.
La sua “politica musicale” fu sempre a sostegno del sistema tonale, perché lo riteneva innato negli uomini. Barry Seldes ci spiega che “l’assunto di Bernstein era un attacco diretto ai compositori atonali che non approvava. Sebbene nella Sinfonia Kaddish avesse usato il sistema dodecafonico, lo aveva fatto solo per contrasto, per esprimere un dissidio sociale che si risolve nella tonalità, che indica la concordia sociale”.
Nel 1946, a soli 28 anni, Lenny aveva le idee chiare:
“Per me è impossibile – ancora da Scoperte – fare una scelta esclusiva fra direzione d’orchestra, composizione sinfonica o per il teatro, pianoforte. Quello che sembra giusto in un dato momento è quello che devo fare”.
Leonard Bernstein è morto nel 1990. Ha attraversato, dunque, tutto il ‘900, dalla tragedia della Seconda guerra mondiale, con l’Olocausto ed Hiroshima, fino all’abbattimento dell’osceno, assurdo Muro di Berlino. Un mago ritto sul podio, armato solo della sua bacchetta.