(di Maria Ilaria De Bonis) – “Senza luce non si vive!”. Così gridavano gli abitanti dello Spin Time fino alle tre di notte, domenica scorsa, mentre presidiavano la cabina elettrica del palazzo occupato in via Santa Croce in Gerusalemme, a Roma.
Il cardinale Konrad Krajewski, era appena stato lì. Si era fatto aiutare a sollevare la botola, si era calato nel tombino, aveva tolto i sigilli, aveva riattivato la corrente, era riemerso. Aveva salutato, si era dato una rassettata ai vestiti e aveva detto che non c’era problema, che sapeva a cosa andava incontro e che stessero tutti tranquilli, lui era “delegato da Sua Santità”.
Questo ha riferito ai giornalisti Marco Perilli, membro del movimento per la casa Action, nello stesso palazzo occupato.
“E’ arrivato il cardinale Konrad – racconta Perilli -che prima era andato dal prefetto. Ha chiesto di riallacciare la corrente sennò se ne sarebbe occupato lui”. Perilli lo dice con molta semplicità, ma anche con smarrimento.
“Alle 20 è venuto, ha chiesto sostegno per l’apertura della botola, è entrato dentro e ha riallacciato tutto, delegato da Sua Santità”.
L’importanza di queste parole finali forse la capiremo solo in seguito.

Sono uno spartiacque pulito tra un’Italia prima e dopo Bergoglio. Prima e dopo Salvini. Prima e dopo una sorta di commissariamento.
E’ evidente che la disobbedienza civile, qui, era non solo necessaria ma ad un certo punto decisamente vitale. Qualcuno avrebbe pur dovuto compierla! Dopo sei giorni di privazione totale dell’energia elettrica nel palazzo occupato, che ci si prendesse la briga di togliere i sigilli era doveroso.
Ma che l’abbia fatto l’elemosiniere del Papa, cittadino dello Stato del Vaticano, ha un’importanza epocale.
Senza luce in uno stabile di 17 mila metri quadri su dieci piani, sette dei quali abitati da 450 persone, non si vive. Si sopravvive a stento. Ma questo pare interessare pochissimo, quasi nulla, agli amministratori della cosa pubblica in Italia. Interessa molto, invece, ai rappresentanti di un altro Stato che vive dentro il nostro.
Quello che forse è sfuggito ai più, è che non si è trattato solo di un’azione di rottura della Chiesa in favore dei “poveri”. Questa è molto più che una forma di “carità” della Chiesa italiana. Anzi, qui la Chiesa italiana non c’entra.
Si tratta di un passaggio di consegne simbolico da uno Stato all’altro. Come dire che, se non c’è chi tutela i più vulnerabili nell’emergenza totale (i bambini piccoli, gli ammalati che senza i macchinari alimentati dall’elettricità rischiavano il collasso; gli anziani, le mamme senza possibilità di cucinare, di lavare, di fornire assistenza), ci deve pensare qualcun altro. Un’autorità religiosa sì, in questo caso, ma soprattutto umana.
Padre Konrad, mentre rifletteva sul da farsi, chiamato in causa da una suora laica, Adriana Domenici, avrà calcolato in poco tempo ogni possibile conseguenza della sue azione. E avrà concluso che non se ne poteva fare a meno.
Mediare sì, ma non fino a questo punto!
Padre Konrad ha fatto sapere che non teme ritorsioni ed è pronto a pagare il debito di chi, per indigenza, non poteva versare i soldi delle bollette.
E’ molto probabile che questa sia un’azione che non potrà essere sanzionata dalla legge. E’ probabile che il cardinale nel tombino, che riporta la luce allo Spin Time, sarà ricordato per sempre nei libri di Storia.
E’ l’azione pragmatica e necessaria di un uomo che, di fronte al bisogno, ha deciso di intervenire.