(di Massimo Lavena) – A volte è meglio attendere prima di scrivere e parlare. Soprattutto quando per tanti anni della vita si è potuto vedere la musica. E se la musica la vedi è di Ennio Morricone. E continueremo ad usare il presente perché ogni volta in cui ci troveremo in una sala cinematografica e vedremo la musica risuonare nei nostri occhi e danzare avvolta alle immagini di un film quella “è” musica di Morricone.
Ennio Morricone mi accompagna da sempre, da quando ho iniziato a capire il fermo rapporto che intercorre tra le note e l’immagine in movimento.

Sarà un caso ma uno dei primi film che ho visto danzare nei miei ricordi è “Giù la testa“, capolavoro in salsa rivoluzione messicana del grande Sergio Leone, il compagnuccio di classe di Ennio Morricone, quello con il quale, scoprendo il potere coinvolgente del loro mix visuale sonoro,
il compositore ha regalato al mondo perle immortali di musica.
Già, “Giù la testa” era il film del mitico tema musicale “Sean Sean”, lo “scionscion ” popolare, che il pubblico ripeteva decretandone un successo incredibile: dedicato al celeberrimo personaggio interpretato da James Coburn, Sean il terrorista dinamitardo irlandese, sognatore e disilluso davanti alla crudeltà del potere divenne un mito, grazie alle esecuzioni del brano vocalizzato dalla mitica soprano Edda Sabatini Dell’Orso in decine e decine di trasmissioni televisive.
Quel trionfo, quelle canzoni entrano di diritto nella musica immortale e accompagnano sempre l’amante del cinema dentro i cuori dei personaggi disegnati dalle note di Ennio Morricone.
Un giorno, giovane cronista, venni inviato a fare una intervista difficile. Dovevo intervistare Ennio Morricone. Oddio, il mio mito. Mi preparo, riprendo tutta la filmografia, studio poi, seduto davanti a lui, nel suo immenso salone con il pianoforte da concerto, di quinta e la Roma dell’Ara Coeli che si intravvede dalle finestre, tutto cambia.
Non c’è una intervista, ma c’è un racconto, di vita, di speranze, di sogni, di illusioni di successi e delusioni pesanti.

Ma la sorpresa è quella che sento nel cuore: sono dentro un film ed intorno al mio corpo si manifestano Clint Eastwood, Claudia Cardinale, Gian Maria Volonté, Florinda Bolkan, Ernest Borgnine, Jason Robards, Henry Fonda, Charles Bronson, Robert De Niro, Jack Nicholson, Philippe Noiret, e poi Elio Petri, Giuliano Montaldo, Roland Joffé, Giuseppe Patroni Griffi, Terence Malick, Giuseppe Tornatore, Brian De Palma.
Un vortice, una allegra danza di persone felici e sorridenti sono tutte dietro di me, dietro il Maestro Ennio Morricone che ridendo sbotta:
“Ahhh ragazzo svejate, hai visto un fantasma?” scoppiando a ridere di gusto.
Scoprii così che componeva sul pentagramma, dopo aver letto le sceneggiature e sentito le descrizioni dei personaggi dal regista.
E poi che solo dopo aver finito di scrivere si metteva al pianoforte. E poi che la “musica da film” vive anche di vita propria se è una buona musica, che narra e porta emozioni.
Ma, disse Morricone, “ricorda: mai una bella musica ha salvato un brutto film,
non c’è niente di peggio di uno spettatore che esca dal cinema e ricordi solo la musica e nessun particolare del film”.
Domandai del suo rapporto con Sergio Leone e vidi gli occhi diventar lucidi. Rispose: “Ci dobbiamo l’un l’altro il nostro successo, che è nato dall’amicizia e dalla complicità”.
Capii allora come un fischio, un’armonica a bocca o lo schioccar di una frusta ancor oggi siano parte integrante di una sequenza di un film che è parte integrante di quei suoni e non si possono più dividere.
Questa è la magia del grande compositore: se la vedi, la musica è di Morricone. E qualche lacrima oggi scende, così, giusto qualcuna, ma solo per ringraziarlo eh!
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