(di Rinaldo Felli) – “Il sindaco del rione Sanità”, attualmente in tournée nei teatri italiani, è uno spettacolo da non mancare per chi apprezza le rivisitazioni dei grandi classici mentre suggerirà qualche domanda in chi approccia i testi dogmaticamente. Il capolavoro scritto da Eduardo De Filippo e rappresentato per la prima volta nel 1960 al Teatro Quirino di Roma, oggi trova nuovo spazio grazie alla regia di Mario Martone ed alla coproduzione di tre importanti realtà del panorama teatrale italiano.

Martone deve la sua prima direzione di un’opera eduardiana allo sforzo congiunto del Teatro Stabile di Torino, recentemente riconosciuto quale Teatro Nazionale, alla Elledieffe, compagnia indipendente che porta il nome di Luca De Filippo.
La Elledieffe, sotto la direzione della moglie Carolina Rosi, oltre che rappresentare e proteggere l’immenso patrimonio artistico della famiglia De Filippo, intende anche continuare nell’opera fortemente voluta da Luca di ricerca nel sociale e nel contemporaneo.
Ed infine grazie al contributo importante arrivato dal NEST – Napoli Est Teatro di San Giovanni a Teduccio, compagnia creata grazie all’impegno di giovani, attori, registi, scenografi e drammaturghi che hanno ristrutturato una palestra con l’impegno di dare vita ad un enclave delle arti, laddove negli anni ottanta c’era un morto di camorra al giorno e dove la criminalità ha visto alternarsi al comando negli ultimi anni diversi boss tra i venti ed i trenta anni.
E’ probabile che proprio dalla realtà di San Giovanni a Teduccio il regista abbia tratto lo spunto per riadattare il testo, l’idea di spostare l’azione ai nostri tempi e di modificare l’età anagrafica di di tutti i personaggi.

L’Antonio Barracano, il sindaco, sanguignamente interpretato dall’ottimo Francesco Di Leva, peraltro cofondatore del NEST, nel nuovo allestimento è un uomo giovane, un boss deciso nel fisico e nel gesto, protagonista del sistema criminale che rappresenta. Molto diverso quindi dal personaggio descritto da Eduardo: un uomo d’onore di settantacinque anni ancorché invidiabili, “una belva intristita perché deve vivere in cattività”.
Un boss in grado però di assicurare la giustizia nel suo rione con il buonsenso del padre di famiglia ed un’autorevolezza fatta di ammirazione e paura nello stesso tempo, personaggio sicuramente rappresentativo di un sistema di valori e disvalori ormai al crepuscolo.

Eduardo, nell’inventarsi il personaggio Barracano, si era ispirato ad un uomo del rione Sanità:
“Si chiamava Campoluongo – racconta lo stesso autore – ed era un pezzo d’uomo bruno. Teneva il quartiere in ordine. Venivano da lui a chieder pareri su come si dovevano comporre vertenze nel Rione Sanità. E lui andava. Una volta ebbe una lite con Martino ‘u Camparo, e questo gli mangiò il naso. Da questo episodio, Luigi Campoluongo prese il soprannome di Naso’ ‘e cane”.
“Veniva sempre – continua Eduardo – a tutte le prime in camerino. Disturbo? – chiedeva – poi si metteva seduto, sempre con la mano sul bastone – Volete ‘na tazza ‘e caffè ? – lui rispondeva – Volentieri – poi se ne andava”.
Di Campoluongo era amico anche Totò. L’attore godette della sua protezione per tutta la vita e ciò gli assicurò tranquillità e sicurezza per le riprese dei suoi tanti film girati a Napoli.
Ma il rap che apre lo spettacolo odierno ci fa immediatamente capire che quel mondo, il mondo di Barracano/Campoluongo non c’è più, il crepuscolo è diventato tramonto.
“Il teatro è vivo quando s’interroga sulla realtà“, afferma Mario Martone, “se parla al suo pubblico non solo osando sul piano formale ma anche agendo in una dimensione politica”.
Nel calarlo nella realtà odierna Martone opera una riscrittura che, pur mantenendo una sicura efficacia teatrale, solleva alcuni dubbi.
Il Barracano eduardiano è un camorrista con le radici nella realtà ma dalle quali si sgancia per simboleggiare un concetto di giustizia, è immerso nella vita del suo tempo ma ambisce, pur utilizzando mezzi da fuorilegge, ad una visione migliore del mondo: “meno rotondo, ma un poco più quadrato”.

Purtroppo, sia se facciamo riferimento ad alcuni personaggi della cronaca e sia se prendiamo in considerazione alcuni verosimili personaggi rappresentati in fiction televisive ormai entrati nell’immaginario collettivo (Ciro l’immortale, Genny Savastano), è difficile supporre che un giovane boss della nuova camorra abbia l’aspirazione per un mondo migliore.
Lo spettacolo, diversamente dall’originale, si chiude con una domanda, forse la stessa che lo spettatore meno indulgente alle rivisitazioni si farà: come può l’Antonio Barracano attuale mettersi al centro di un potere per amministrare la giustizia dovendo confrontarsi con delinquenti privi di una visione e che vivono per un oggi fatto di sangue, denaro, sesso e droga?