di Rinaldo Felli – Forse. Non è detto. Chissà. Lo sapremo solo tra diverso tempo ma qualche domanda possiamo iniziare a farcela: il post pandemia da Covid-19 ci porterà un cambio di democrazia? Passeremo dalla democrazia parlamentare alla monarchia dell’algoritmo?
Cerchiamo di spiegarci facendoci aiutare da un saggio pubblicato nel 2015: “Homo Deus – Breve storia del futuro“. Nel libro, lo storico nonché saggista Yuval Noah Harari, scrive:
“Permettere a Google di leggere le nostre e-mail e di seguire le nostre attività consentirebbe al motore di ricerca più usato al mondo di avvertirci che si sta diffondendo un’epidemia prima che questa venga notata dai tradizionali servizi sanitari”.
Harari si riferiva ad una semplice, innocua epidemia di influenza ed immaginava che Google, controllando le parole digitate nelle loro e-mail dai cittadini di Londra ed incrociandole con una banca dati relativa ai sintomi delle malattie, potesse in pochi minuti individuare l’insorgenza di una qualche influenza.
Torniamo al gennaio 2020 e proviamo ad immaginare che Google avesse potuto usare questo sistema il giorno X a Wuhan.
In quella terribile giornata le e-mail dei cittadini della megalopoli cinese sarebbero state affollate delle parole febbre e difficoltà respiratorie.
A quel punto gli algoritmi che presiedono il motore di ricerca avrebbero captato il segnale d’allarme ed incrociando rapidamente tutti i dati avrebbero avuto gioco facile nel comprendere che si stava preparando il terreno per un’epidemia.
Con altrettanta rapidità ne avrebbero potuto informare l’ancora ignaro servizio sanitario cinese.
Spingiamoci ancora oltre, fino ad un passo dalla fantascienza. Se quegli algoritmi fossero stati talmente evoluti da poter analizzare uno scenario come quello che il Covid 19 ci sta imponendo probabilmente sarebbero stati anche in grado di impartire le direttive per farvi fronte.
Per esempio segnalare la necessità di aumentare i posti in terapia intensiva, di approvvigionarsi velocemente dei supporti sanitari per la protezione, distribuire le risorse sanitarie esistenti con matematica precisione a seconda dei focolai, modificare norme burocratiche per velocizzare la macchina dello Stato, decidere misure di contenimento nel volgere di una sola giornata, identificare le scelte atte a ridurre i negativi impatti economici derivanti dal lockdown.
La rapidità e la precisione di quest’intervento avrebbe salvato vite e ridotto i danni economici in modo molto più efficace di qualsiasi altra misura decisa, con inevitabile lentezza, da un pool di persone.
Ma quale sarebbe stato il prezzo? In quel momento, nel momento in cui un algoritmo si fosse sostituito ad un qualsiasi governo,
avremmo barattato democrazia in cambio del diritto alla salute.
E se oggi un Google qualsiasi ci chiedesse: “vi facciamo vivere felicemente molti anni in più ed in cambio ci sostituiamo al vostro governo”,
cosa risponderemmo?
Istintivamente ci verrebbe da sorridere ironicamente, magari lo giudicheremmo come uno scenario assimilabile alla sfrenata fantasia di George Orwell o di Philip K. Dick.
Ma dopo l’iniziale ilarità magari faremmo una diversa considerazione e potremmo persino pensare di sostituire la parola fantasia con la parola realtà.
Il pensiero correrebbe verso le tante occasioni in cui, già oggi, deleghiamo scelte ad intelligenze artificiali, ad algoritmi.
Ogni qualvolta ci rivolgiamo alla fedele, amichevole, suadente voce di Cortana, Siri, Alexa che dir si voglia non chiediamo forse un consiglio, un aiuto ad un algoritmo?
Nel momento in cui lo facciamo gli stiamo fornendo i nostri dati, i nostri desideri e facciamo affidamento che loro possano scegliere per nostro conto la migliore pizzeria, la musica più adatta da ascoltare o il percorso più veloce per raggiungere il posto di lavoro.
Nello stesso modo quando utilizziamo le insostituibili App per il benessere fisico stiamo delegando ad un algoritmo la scelta di quanti passi dobbiamo percorrere per mantenerci sani ed in forma.
Se siamo così disposti a delegare ad un algoritmo scelte più o meno importanti della nostra vita, consapevoli che saranno migliori di quelle che faremmo da soli,
cosa ci impedirà in un prossimo futuro di delegare ad intelligenze artificiali maggiormente evolute scelte che riguarderanno il benessere di comunità intere, a scapito della perdita di un’ormai confusa democrazia?
La questione rimane aperta.