(di Maria Ilaria De Bonis) – Hong Kong è nel caos: centinaia di migliaia di giovani si battono, con l‘arma pacifica della protesta, per difendere lo Stato di diritto dall’ingerenza cinese.
Il gigantesco movimento di massa (non se ne vedeva uno così da decenni ad Hong Kong) è esploso il 9 giugno scorso e si è riversato nuovamente in strada oggi, per dire no al controverso disegno di legge sull’estradizione (extradition Bill) che di fatto consegnerebbe gli indagati per diversi reati al governo di Pechino.
La paura numero uno dei giovani è che possano finire nelle strette maglie del controllo cinese anche gli attivisti, i dissidenti politici e i giornalisti: se la legge passasse, dicono, sarebbe una perdita irreversibile per tutti.
Ne risentirebbe la libertà di una regione che si è resa autonoma dal Regno Unito solo nel 1997, e che da allora vive un precario equilibrio politico sotto Pechino, ma in regime di semiautonomia come Macao.
«Si tratta dell’ultima battaglia per Hong Kong: se la perdiamo, Hong Kong non è più Hong Kong, è solo un’altra città cinese», ha detto al Guardian Martin Lee, ex parlamentare democratico.
Stamani la polizia ha cercato in ogni modo di disperdere la folla asserragliata fuori dal palazzo governativo e ha usato gas lacrimogeni, bombe d’acqua e proiettili di gomma come deterrente.
Le immagini delle emittenti internazionali, dalla Cnn alla Bbc ad Al Jazeera, mostravano centinaia di migliaia di persone armate solo di mascherine antigas e ombrelli per la pioggia (come fu per la cosiddetta Rivoluzione degli Ombrelli del 2014) che chiedevano di rimandare il dibattito parlamentare sull’extradition Bill.
Un gruppo di 500 studenti di Hong Kong a Taipei oggi ha rilasciato un comunicato dove si dice che «il governo di Hong Kong è diventato la marionetta del governo di Pechino».
Ma la loro scommessa per ora non è né vinta né persa: si sposta nelle sedi istituzionali dove la politica sta prendendo tempo. Forse non ci si aspettava una reazione così compatta e così massiccia da parte della gente.
Il provvedimento in questione, in effetti, metterebbe seriamente a rischio i diritti civili delle persone consentendo ai fuggitivi ma anche ai semplici sospettati, di essere estradati in alcuni Paesi non democratici, tra i quali la Cina di Xi Jinping.
Le immagini delle tv internazionali mostrano una protesta massiccia: il 9 giugno fiumi di persone si erano riversate in strada: un esempio di lotta per la difesa dei diritti che può servire da modello al mondo occidentale.
Moltissimi intellettuali si sono schierati a difesa della libertà di Hong Kong: anche l’artista Ai Weiwei, una sorta di Banksy cinese che ha preso le difese di diversi human rights defenders, ha dichiarato: «abbiamo visto che i giovani difendono i loro diritti e questo perché nessuno si fida del sistema giudiziario cinese».