(di Manuela Coluzzi e Filippo Bocci) – Roma: quartieri Garbatella, San Paolo, Ostiense. Ogni mercoledì sera, più o meno all’ora di cena, i volontari della Comunità di Sant’Egidio portano cibo e un po’ di calore ai senza fissa dimora.
Oggi andiamo con loro, li seguiamo passo passo nel giro settimanale. Abbiamo incontrato Andreas (sono tutti nomi di fantasia), con la sua roulotte verso viale Marconi. È tedesco, e parla molto bene l’italiano.
Siamo passati poi sull’Ostiense, dove è accampata una famiglia di romeni: hanno tre bambini piccoli che ora si trovano in Romania. Stavano preparando salsicce e patate su due focherelli fatti di legna, ma hanno comunque gradito moltissimo il cibo caldo. D’inverno si rifugiano per il freddo e la pioggia sotto le luci accecanti di un porticato, ma con il sole arrivato da pochi giorni potranno dormire nel giardino che, con grande determinazione e entusiasmo, hanno ripulito fra alberi e cespugli, togliendo legna e foglie marce.
Il più deciso dei cinque ha portato uno dei volontari ad ispezionare il lavoro fatto, scherzando e ridendo e tenendolo sotto braccio: abbiamo temuto che non lo volesse più lasciare andare, tanto era orgoglioso di mostrargli il suo operato. La loro base di appoggio è un furgoncino sgangherato.
Hanno chiesto dei materassi, un cuscino e dei giochi da far avere ai bambini.
Ascoltare e aprire un dialogo sulle piccole cose è, per queste persone di grande conforto.
Ci si chiede come possano sopravvivere in una simile situazione e chissà per quanto tempo. Siamo riusciti a salutare un’altra parte della famiglia con la video chiamata dalla Romania sul cellulare della mamma: sorrisi, braccia che salutano e “ciao, a presto” in tutte le lingue.
A seguire siamo andati da Marisa e Stefano sulla Colombo: Marisa ha il cancro e fa la chemio. È coraggiosa, viene seguita da assistenti sociali attivati da Sant’Egidio.

Poi Lucio e Nadia: lei cura con tanto amore un piccolo giardino che ha creato per sé nell’aiuola dove è parcheggiata la sua roulotte.
E c’era una volta Riccardo – raccontano i volontari – che dormiva su un materasso sotto un palazzo di via Pigafetta.
Lavorava tutto il giorno come muratore. Purtroppo è stato sfollato dalla polizia insieme ad una donna che si drogava e che viveva anche lei sotto il palazzo. Si è costruito una baracca nascosta in un deposito abbandonato ma stavolta non siamo riusciti a trovarlo.
Poi siamo passati da Ugo e Stella: vivono in macchina, sulla Circonvallazione Ostiense. Lui ha più di 70 anni, è italiano, nato proprio alla Garbatella, ed è molto malato.
E infine Giulietta, in roulotte, è disabile e gira con la carrozzina. Con il suo turbante color prugna in sintonia con la vestaglietta a fiorellini, ha raccontato preoccupata di aver avuto la visita dei vigili che hanno controllato i suoi documenti di invalidità e l’hanno avvisata che verrà portata in una struttura.
Giulietta è vivace, espressiva, battagliera, non vuole andare in un istituto e ha chiesto aiuto alla Comunità. Uno dei volontari le ha lasciato il suo numero di cellulare, in caso di emergenza. E’ una donna fiduciosa, positiva: ha consigliato a tutti di prendere il succo di mirtillo che contiene un enorme quantitativo di sostanze antiossidanti, in grado di prevenire patologie cardiovascolari, proteggere dai tumori e ritardare il processo di invecchiamento.
Non siamo riusciti ad incontrare Luigi. Abbiamo lasciato il sacchetto con il cibo appendendolo al cancello antistante il piccolo fazzoletto di terra che circonda il suo ricovero. Ci siamo stupiti nell’avvistare, in quel piccolo lembo di casa improvvisata, una decina di piante di pomodori e due piccoli alberi da frutta: è così che Luigi riorganizza positivamente la propria vita, senza alienare la propria identità. Come del resto ha fatto anche Nadia con il suo giardino di fiori e pianticelle così amorevolmente curato.

Sono tante le situazioni dove è fondamentale la virtuosa combinazione tra il cibo caldo e il conforto psicologico, anche se non sempre è sufficiente: “Aiutare mi fa sentire più umana – dice una volontaria -. Ma capisco che non basta per queste persone che hanno bisogno di tutto”.
Sant’Egidio è ormai presente da cinquant’anni sul territorio. Nata nel 1968 in un liceo romano per iniziativa di un allora giovanissimo Andrea Riccardi, opera ormai in più di 70 paesi del mondo, con una particolare attenzione agli ultimi, agli emarginati.
È l’esempio di chi crede che non sia solo dovere delle istituzioni quello di intervenire in realtà difficili e degradate, ma che la spinta possa e debba nascere anche dal basso, portando a chi è in difficoltà aiuto materiale ma anche solidarietà, amicizia.
“Possiamo fare più bello questo mondo”, afferma Marco Peroni, da più di quarant’anni attivo nella Comunità. Ecco perché, fra le tante iniziative, Sant’Egidio cura mensilmente anche un pranzo di amicizia, cibo, musica, per ricreare legami di affetto, come in una famiglia:
“Il diritto di queste persone è di non essere sole”.
L’appuntamento per il giro è sempre alle 18:30 circa, alla loro Casa della Convivenza (o Casa Famiglia) che si trova in via Gaspare Gozzi, un accogliente appartamento che la Comunità ha ricevuto come lascito ereditario.
Lì abitano tre anziani: Nando, di 76 anni, poliomielitico da quando ne aveva tre: “Quando Sabin sviluppò il vaccino contro la poliomielite fu una corsa ad essere vaccinati; io quelli contro i vaccini non li capisco”, dice.
Natalina che di anni ne ha quasi 70, e che si è rotta una vertebra un paio di mesi fa ma che ora per fortuna sta meglio, e un’altra donna anziana che non vuole mai uscire, nemmeno dalla stanza.
Con loro abita anche Liuba, un angelo del focolare che fa le faccende domestiche e si occupa di loro. Nando però non ci sta a fare l’anziano disabile, e con la sua motoretta speciale non perde occasione per sentirsi attivo e gironzolare per il quartiere. Ha molte conoscenze nella zona, si informa di tutto, e anche lui segnala i senza tetto ai volontari.

In questa casa si porta il cibo e si cucina per i senza dimora. Poi si divide in una ventina porzioni il primo piatto – vaschette con pasta al pomodoro calda, oppure lasagne – e il secondo – altrettante vaschette con polpette o frittatona, sformato di patate e insalata, etc. – frutta, pane e dolcetto se ci scappa.
Natalina non si può muovere ancora tanto, ma vuole chiudere personalmente le vaschette una ad una. Colpisce l’organizzazione dei volontari che fanno in modo di partire non oltre le 19.30 per consegnare il cibo a tutti proprio all’ora di cena. E la loro attenzione perché la pasta sia cotta proprio all’ultimo momento, e così possa arrivare calda.

Si riesce a finire alcune volte alle nove di sera, altre volte alle dieci, dipende quanto tempo ci si ferma a chiacchierare.
È importantissimo restare a parlare con loro dopo aver consegnato il cibo.
Ne hanno un bisogno profondo, vitale, e fa bene anche allo spirito dei volontari: “La felicità – aggiunge Marco Peroni – è vera con gli altri, difficilmente si è felici da soli”.
La dignità di queste persone, che ringraziano sempre con il sorriso, apre il cuore. I rom, un po’ tristemente rassegnati ad essere senza patria confessano: “Noi non siamo romeni, siamo zingari”. Giulietta invece dice: “A me piace essere sempre in ordine e vestita bene, perché mi hanno insegnato così. Ho tanti problemi di salute ma sono felice”.
È così che loro sono belli e invisibili.
- Questo articolo è frutto di un lavoro finale di “inchiesta di comunità” realizzato durante il corso “Dalle news tossiche al giornalismo di comunità” organizzato dall’associazione B-hop il 10 e 11 maggio 2019 a Roma.
copyright foto: M.Coluzzi e F.Bocci