(di Filippo Bocci) – Per una volta la collana I Meridiani della Mondadori lascia da parte la letteratura e la filosofia e vira sull’economia, almeno apparentemente. È di recente pubblicazione il volume dedicato a John Maynard Keynes, straordinario economista inglese del secolo scorso, e in particolare alla sua Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta.

L’opera è di pregevole fattura, grazie alla cura scrupolosa di Giorgio La Malfa, che oltre ad aver realizzato una nuova traduzione del testo, è autore del progetto editoriale, di un approfondito saggio introduttivo e di un’ampia cronologia della vita di Keynes, che si legge come un avvincente racconto.
Ci sono inoltre altri ventotto scritti, cronologicamente contigui alla Teoria, che ne facilitano la comprensione. Ancora di La Malfa insieme a Giovanni Farese sono le note di commento, e piace sottolineare che si tratta di un unicum storico, la sola edizione mondiale della Teoria criticamente annotata mai edita.
Dicevamo che l’eccezione di questo tomo dei Meridiani è in realtà soltanto apparente.
“Quello che ho cercato di sottolineare nel saggio introduttivo – spiega a B-hop La Malfa, accademico e uomo politico che non ha bisogno di presentazioni – è che Keynes fu “anche” un economista, che viveva a Cambridge metà della settimana, ma il resto dei giorni li trascorreva a Londra, con Virginia Woolf e gli altri suoi amici del Circolo di Bloomsbury, passando le serate al balletto, scrivendo per i giornali, giocando in borsa”.
“È il segreto della grandezza di Keynes, questa curiosità al di fuori dell’economia che arricchiva enormemente il suo pensiero”.
Si trattava di un intellettuale a tutto tondo che alle conoscenze della matematica e dell’economia univa l’amore per la filosofia e la sensibilità del raffinato letterato.
La Malfa ci racconta nel saggio introduttivo che quando a Keynes venne negata una fellowship al King’s College, il giudizio su di lui del matematico A. N. Whitehead, che non era certo uno studioso qualunque, fu sferzante: “Mi permetto di dubitare che il signor Keynes abbia sufficientemente colto la differenza fra lo stile proprio della letteratura e quello adatto all’investigazione logica e scientifica”.
Diceva del resto lo stesso Keynes che la scienza economica è “una materia facile in cui solo pochi eccellono”.
Gli economisti allora sono “the rarest of birds” fra gli uccelli più rari. Questo perché “il grande economista deve possedere una rara combinazione di qualità … Deve essere, in una certa misura, un matematico e uno storico, uno statista e un filosofo”.
Maynard Keynes fu anche un eccellente diplomatico, e fu presente alla conferenza di Bretton Woods del 1944 che definì l’assetto economico del dopoguerra, dove però non riuscì a far passare la sua idea di Clearing Union con una Banca Centrale che avrebbe gestito un sistema fondato su una nuova moneta, il bancor, slegata dalle altre divise e dall’oro.
Gli Stati Uniti convennero tuttavia con gli inglesi per un sistema di cambi fissi basato sulla parità delle monete rispetto al dollaro, con a garanzia le loro riserve auree, che detenevano in enorme quantità.
Ma Keynes, al termine della prima guerra mondiale, aveva anche partecipato alla Conferenza di pace di Parigi del 1919, Cassandra inascoltata dai vincitori che vollero affamare la Germania sconfitta, esigendo dei debiti di guerra che non sarebbero mai stati pagati, e soprattutto creando una situazione post-bellica fortemente squilibrata e foriera dei drammi che avrebbero portato al secondo conflitto mondiale. Diceva:
“La guerra è terminata con tutti che devono a tutti enormi somme di denaro … Un falò generale è una necessità così impellente, che se non vi provvediamo in modo ordinato e benigno, senza fare grave ingiustizia a nessuno, il falò quando infine avrà luogo diventerà un incendio che può distruggere molte altre cose”.
E quanto mai azzeccata fu purtroppo la sua profezia: “Se miriamo a impoverire l’Europa centrale, la vendetta, oso predire, non si farà attendere. Niente allora potrà ritardare a lungo quella finale guerra civile tra le forze della reazione e le convulsioni disperate della rivoluzione, rispetto al quale gli orrori della passata guerra tedesca svaniranno nel nulla”.

Giorgio La Malfa ricorda con non celato orgoglio che nel secondo dopoguerra suo padre Ugo, fra gli autori della nostra Costituzione e grande statista – di cui quest’anno ricorre il quarantennale della morte – fu su posizioni keynesiane quando si trattò di affrontare la questione tedesca: “Con preveggenza e lucidità intellettuale, nel 1945 mio padre scriveva su Italia Libera, il giornale ufficiale del Partito d’Azione, che la Germania andava associata al processo di ricostruzione. Quegli articoli sono impressionanti: per un antifascista come lui era una posizione fuori dal mondo”.
Keynes era un uomo dalla personalità controversa, ma certo la sua genialità era indiscussa.
“Tradurre Keynes non presenta difficoltà nella lingua – ci dice La Malfa –. Quello che è difficile è entrare nei suoi ragionamenti, capire perché si esprime in una determinata maniera”.
“Tradurre una mente di quelle dimensioni è stata un’esperienza straordinaria, ha significato stare per anni in contatto quasi familiare con lui”.
Sempre nel prezioso saggio introduttivo, La Malfa riporta il pensiero di Virginia Woolf su Keynes: “Come gli ho detto quando mi ha dato da leggere alcune pagine del suo nuovo libro, i processi mentali che vi sono contenuti sono molto più avanti dei miei, come lo sono quelli di Shakespeare”.
E Lionel Robbins, liberale ortodosso e non certo un ammiratore delle dottrine keynesiane, pure lo ritraeva così: “Uno degli uomini più notevoli che siano mai esistiti: la logica pronta, il balzo alato dell’intuizione, la vivida fantasia, l’ampia visione delle cose, soprattutto il senso incomparabile della parola giusta, tutto concorre a farne qualcosa di ben superiore al normale livello umano”.
Per non dire dell’ammirato tributo di Bertrand Russell: “Keynes aveva la mente più acuta e più limpida che mai abbia incontrato. Quando discutevo con lui ero costretto a impegnarmi al massimo e di rado ne uscivo senza l’impressione di avere fatto la figura dello sciocco”.
Keynes fu autore di una vera rivoluzione del pensiero economico.
L’idea che il livello della produzione non fosse determinato dall’offerta, ma dalla domanda di investimenti e di consumi, suonò infatti, nel 1936 anno della Teoria generale, come un attacco alla “cittadella dell’ortodossia”, ai princìpi della dottrina classica.
Per i primi trent’anni del dopoguerra il modello keynesiano ha dettato legge nel funzionamento delle economie capitalistiche. Poi negli anni Settanta del secolo scorso le idee di Keynes sono state avversate, o al meglio assorbite ma annacquate dai modelli del pensiero economico classico, che ha tolto loro la forza di propulsione politica.
Finché è arrivata la terribile crisi del 2007 – 2008 con il crollo dei mercati subprimes negli Stati Uniti, e si è riaperta
la necessità di un ripensamento del funzionamento dei sistemi economici di mercato.
Ecco allora che l’analisi di Keynes è attuale soprattutto nell’esigenza di un intervento correttivo dello Stato, che regoli un sistema che da sé non può tornare ai livelli di piena occupazione.
La rivoluzione economica di Keynes e tutto il ricco apparato intellettuale del suo pensiero possono tornare ad essere una bussola per affrontare le crisi delle società contemporanee, dove si stenta a combinare efficienza, giustizia e libertà.
La Malfa spinge la sua analisi a trovare un parallelo tra la critica di Keynes nei confronti delle disfunzioni delle economie di mercato e la stessa condanna degli eccessi del capitalismo da parte di Papa Francesco: “Io Keynes, arrivo a dire, lo incorporerei nella dottrina cattolica. Egli infatti considera il capitalismo come un motore che ha bisogno di un volante, un freno e un acceleratore, perché lasciato a sé stesso ci porta a sbattere, ma se noi ci aggiungiamo come elementi imprescindibili la ricerca della piena occupazione, la distribuzione del reddito, l’ambiente – proprio i valori che troviamo nell’enciclica Laudato si’ del Pontefice –, insomma tutti i beni comuni ai quali possa essere interessato un movimento religioso, forse ne facciamo qualcosa di accettabile”.
Diceva infatti lo stesso Keynes: “Da parte mia, penso che il capitalismo, se ben gestito, possa probabilmente essere reso più efficiente di qualsiasi sistema alternativo sinora concepito nel perseguimento di obiettivi economici, ma penso anche che in sé e per sé esso sia per molti versi estremamente criticabile”.
“E ci sarebbe qui – dice ancora La Malfa – lo spazio anche per un partito di sinistra interessato ai temi della giustizia sociale”, e in questo senso le idee di Keynes, da approfondire ulteriormente, segnerebbero il solco della distinzione da una destra rigorista e contraria alla spesa pubblica.
Certo una spesa pubblica fatta cum grano salis. Conclude La Malfa:
“Un governo italiano a guida Keynes imporrebbe per prima cosa per legge il pareggio di bilancio per la parte corrente e certo non pagherebbe con il debito le pensioni”.
“Il debito – prosegue – va invece usato per gli investimenti, per costruire ospedali, scuole, autostrade, perché io faccio qualcosa da cui avrò un ritorno di crescita produttiva e di maggiore benessere di vita dei cittadini. Se non si potessero fare investimenti industriali in debito, il paese sarebbe in condizioni di arretratezza”.
Il pensiero di Keynes mira dunque a scongiurare nuove crisi, attraverso un ruolo attivo dello Stato.
Scriveva in un breve articolo L’arte e lo Stato, sempre nel 1936: “Perché non si dovrebbe rendere tutta Londra simile alla zona di St James Park e ai suoi dintorni? I lungofiume potrebbero diventare uno dei più bei panorami al mondo, con una teoria di edifici e terrazze che sorgono lungo le rive … Tutti i nostri architetti, ingegneri e artisti dovrebbero avere l’opportunità di dar corpo alle diverse fantasie non già di esseri esacerbati, rachitici e disillusi, ma di spiriti sereni e soddisfatti che appartengono a un rinascimento. Affermo che non vi possono essere ostacoli di natura ‘finanziaria’ che impediscano queste realizzazioni, qualora siano disponibili la forza lavoro e le risorse materiali necessarie”.
Ecco, è questa la potenza del pensiero filosofico e politico, prima che economico, di John Maynard Keynes, così ben raccontato da Giorgio La Malfa nei Meridiani Mondadori.