(di Filippo Bocci) – La Centrale Montemartini a Roma, un luogo straordinario, che ospita fino al 22 settembre prossimo la mostra Volti di Roma, una selezione di ritratti fotografici di Luigi Spina, realizzati con la speciale tecnica del banco ottico, sessanta immagini in bianco e nero afferenti a trentasette opere presenti all’interno del museo.
Ma cos’è la Centrale Montemartini? Di sicuro ha fornito energia elettrica alla città per un cinquantennio a partire dal 1912, nel felice periodo della Belle Époque, voluta dall’amministrazione comunale guidata allora da Ernesto Nathan e dedicata a Giovanni Montemartini, assessore deceduto un anno più tardi. Il tempo l’ha dichiarata obsoleta nel 1963, ma a fine anni ’90 è diventata altro, un indecifrabile ambiente, un unicum dove centinaia di sculture e reperti archeologici dei Musei Capitolini hanno trovato una sede espositiva permanente, attraverso una riconversione geniale, un accostamento tra scienza e arte audace e straniante.

Luigi Spina, in virtù di un lungo lavoro, un approccio di silenzioso “ascolto” delle figure della Roma repubblicana e imperiale, ci restituisce dei doppi dell’anima, è come se riportasse in vita, nell’impressione fotografica, un’appendice di queste figure, del loro essere stati uomini, donne, giovani, instaurando un dialogo tra essi e il visitatore, visitato a sua volta da sensazioni e suggestioni che lo costringono ad interagire, a prendere posizione, a misurarsi.
Osserva il curatore della mostra, insieme allo stesso Spina, Claudio Parisi Presicce: “Il ritratto è un ‘luogo del ricordo’, che oscilla tra le parole greche eikon e mnema. L’immagine del personaggio raffigurato, quindi, esorta gli osservatori a dargli un ‘luogo nel loro ricordo’ e attraverso l’espressività stabilisce con loro un legame intimo, riconducibile all’ordine sociale della comunità di appartenenza”.
Volti “per niente antichi. Di un altro tempo”,
dice Luigi Spina, inseriti però in una scena teatrale rimescolata di tante epoche, di fatto un palcoscenico della storia, con attori e spettatori sempre nuovi. L’esposizione crea nella magia della visita un ciclo “eterno” senza inizio e fine, dove antico e moderno si contaminano e si perdono tra passato e presente, morte e vita.
Muovendoci a zigzag tra statue, turbine, sarcofagi, motori diesel, ombre e silenzi, gli antichi patrizi che incontriamo – e di cui Spina raddoppia le tracce del ricordo perché il nostro le espanda a sua volta – ci interrogano, quasi un’indagine, un’inchiesta dell’anima tra sensazioni e suggestioni.
Nel nostro vagare, questo enorme ricettacolo di bellezza è già pieno, ma come luogo della mente da vivere può essere riempito ancor più, senza alcuna limitazione.
Il fotografo racconta una giornata sempre uguale, possibile archetipo di una qualunque giornata di un visitatore qualunque, dove però le immagini emozionano, i volti ritratti – ci sia consentita l’invenzione – “espressionano”, instaurano un legame spirituale, un dialogo con le antichità, schiacciano le distanze, cristallizzano le epoche.

Ma soprattutto
creano, a chi sa meravigliarsi, un luogo dello spirito nuovo, profondo, uno sconosciuto, inesplorato spazio della conoscenza.
E così conclude Claudio Parisi Presicce: “È un lavoro che genera un prodotto culturale dotato di un peculiare statuto ontologico, perché si tratta di immagini che non coincidono esattamente né con la verosimiglianza del soggetto raffigurato né con lo stato d’animo dell’osservatore, ma partecipano di entrambe”.
È, infine, l’orgogliosa meraviglia di Luigi Spina:
“Ogni lunedì mattina la mia visita inizia con una passeggiata. L’odore acre dell’olio dei motori diesel, ancora esistente, lascia credere che siano stati accesi fino a ieri. Tutto è ancora grigio, incolore. I volti sagome indefinite. Accendo la mia luce e, di nuovo, ogni volto è una storia. Ma sono a Montemartini. Dove altra gente, un altro popolo, ebbe il vanto dell’energia elettrica. La Luce di Roma”.