Emanuela Orlandi è scomparsa in una giornata come questa, il 22 giugno di troppi anni fa. Una giornata talmente calda a Roma che nulla sarebbe dovuto accadere. Invece, quel giorno, così afoso da togliere ogni idea, stava cambiando la storia di un’ intera famiglia.
Ercole, Maria sono i genitori premurosi, attenti, affettuosi di 5 figli: Natalina, la più grande, Pietro, l’unico maschio e poi tre sorelle: Federica, Emanuela e Cristina. Vivono, insieme alla zia Anna, sorella di Ercole, in un ampio ma modesto appartamento. La chiave di casa è sempre inserita nella toppa perché la famiglia Orlandi risiede all’interno di uno dei luoghi più sicuri e tranquilli del mondo: lo Stato della Città del Vaticano, lo Stato del Papa. Ercole ne è un fedele dipendente da decenni, un messo pontificio. Quella porta, la sera del 22 giugno, Emanuela non l’attraversa.
Sono tutti ad aspettarla, preoccupati, angosciati, perché né Emanuela né nessuno degli altri quattro figli è mai rientrato a casa in ritardo. La polizia, a cui Ercole e Maria si rivolgono, per il momento non intende far nulla. Secondo loro si tratta di una banale ragazzata, magari una piccola fuga d’amore con un coetaneo o un momento di adolescenziale ribellione; comunque di casi come quelli ce ne sono centinaia al giorno e loro, le forze dell’ordine, non possono impegnare il tempo per queste attività.
Ma i genitori, i fratelli, gli amici sanno bene che non è così, si organizzano quindi in piccoli gruppi e poi, con ingenuo ottimismo, si mettono a cercarla nella notte di Roma. Lo fanno per tutta quella notte e per i giorni a seguire, perché sanno che non può essere la sbandata di un’adolescente: Emanuela è una ragazza seria, serena, equilibrata, con una grande gioia di vivere, una figlia che in casa regala energia, allegria ed affetto a tutti i componenti della sua famiglia. Vive i suoi quindici anni dedicando il tempo a sviluppare il suo talento per la musica e quel 22 giugno è uscita di casa proprio per seguire una lezione.
Suona il flauto, il pianoforte, spesso la si può sentire suonare la chitarra in camera sua. Canta Venditti, Baglioni, canta e suona “E tu”, “Questo piccolo grande amore” , “Fotografie” è uno dei suoi brani preferiti. Da grande vorrebbe intraprendere la carriera di cantante. Condivide questi sogni con il numeroso gruppo di amiche e amici che frequentano la parrocchia del Vaticano, la parrocchia di S.Anna. Passano insieme interi pomeriggi a giocare, cantare, suonare, a fare merende a base di Nutella. Li trascorrono nel cortile sotto casa Orlandi, attiguo alla parrocchia. Un cortile particolare, dove transitano incessantemente i gendarmi per raggiungere la propria caserma, eminenze ed eccellenze per andare alla vicina Elemosineria o le laboriose suore francescane che proprio di fronte hanno il laboratorio per il restauro degli arazzi.
A Emanuela piace anche pattinare, vestita con gli inseparabili jeans, una maglietta ed un gilé; lo fa frequentemente alla Mole Adriana, il giardino intorno a Castel S. Angelo e lo fa con un’eleganza da ballerina di danza classica. Da poche settimane un’altra sua passione le ha dato una grande gioia: la Roma è Campione d’Italia. La foto che gli amici affissero per tutta Roma e che da quel maledetto giorno ce la ricorda, con la fascetta, il viso sorridente di una giovane che con grande entusiasmo si affaccia alla vita dei grandi, con lo sguardo dolce, i lunghi capelli di cui era orgogliosissima, le è stata scattata proprio mentre era felice; insieme ai suoi amici festeggiando lo scudetto per le vie di quella Roma che qualche settimana dopo l’avrebbe prima tradita e poi inghiottita.
Pietro Orlandi, in un’intervista rilasciata recentemente ad una nota trasmissione televisiva, ha dichiarato: “Non si archiviano le persone“.
Emanuela non è solo un intricato fascicolo, un intrigante ma datato dossier da abbandonare in qualche scantinato. Emanuela, come tutti gli altri scomparsi, è una persona, una donna che ha il diritto di tornare a girare la chiave di casa, di aprire quella porta, di ritrovare la sua stanza.
Mamma Maria, Natalina, Pietro, Federica e Cristina non hanno mai perso la speranza, con fiducia immutata continuano a lasciare la chiave nella serratura di casa e ad aspettare quel momento per riabbracciarla.
Noi tutti invece abbiamo un dovere verso Emanuela e qualsiasi altro scomparso, il dovere di non dimenticarli mai, di pretendere sempre e comunque, ad ogni costo, che su di loro venga fatta verità.