Un’area archeologica di grande valore, portata alla luce di recente, che vuole diventare un museo e un luogo di cultura viva in un quartiere romano povero di spazi di aggregazione, nel Municipio XI (ex XV). Un luogo che però fatica ad esistere a causa di episodi dolosi, intimidazioni e minacce. E’ la Drugstory Gallery Portuense, al civico 317 della via Portuense, in corrispondenza del ponte delle ferrovia Roma-Fiumicino.
Di fronte alla Gallery, situata nei locali di un ex supermercato (da cui il nome) c’è il cantiere a cielo aperto dove, durante i lavori di raddoppio della carreggiata, sono stati ritrovate nel febbraio 2014 terme maschili e femminili, una necropoli, una stazione di posta e strutture di assistenza ai viaggiatori, un’area di culto, monumenti funebri. All’interno della Drugstore Gallery si rimane a bocca aperta perché appare l’inaspettato: una stupenda tomba in tufo di età imperiale con un sarcofago in terracotta, colombari, dipinti conservati benissimo, un cippo in travertino che attesta un intervento dell’imperatore Vespasiano (I sec.d.c.), anfore, pavimenti in mosaico e addirittura una sepoltura con lo scheletro di un guerriero che risale al Neolitico (3000-2500 a.c.), unica a Roma.

Uno spazio strappato, con fatica e poche risorse, al degrado e alle cattive intenzioni. L’ultimo episodio, denunciato ai carabinieri, risale a metà gennaio. Alcuni criminali hanno nuovamente incendiato un container in cui gli archeologi avevano riposto anfore, vaschette in argilla, frammenti di mosaico, stucchi decorati. Tutto irrimediabilmente distrutto. Poco prima, la notte di Capodanno c’era già stato un altro incendio di un box con decine di reperti, anche questi perduti. Tre mesi fa era stata presa a picconate una iscrizione romana, mentre l’auto della direttrice dei lavori era stata sfregiata con il punteruolo. Come se il lavoro della Soprintendenza speciale per i beni archeologi di Roma, che sta cercando in tutti i modi di restituire questo patrimonio ai cittadini, desse fastidio a qualcuno.

Dopo le prime resistenze – perché pensavano che gli scavi impedissero il proseguimento delle opere stradali – gli abitanti del quartiere hanno cominciato ad apprezzarlo, grazie ad una tre giorni di visite guidate l’estate scorsa. In questo caso non è vero, come si dice a Roma, che “appena si trova un coccio i lavori si fermano”. In realtà il blocco dei lavori è avvenuto perché il responsabile della R.G.Costruzioni generali di Giovanni Recchia è finito ai domiciliari nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione pilotata delle concessioni degli stabilimenti balneari di Ostia, e solo ora dovrebbe essere a piede libero. Nel frattempo gli archeologi e il personale che seguono il cantiere non ricevono lo stipendio da mesi e tutti sperano che si trovi presto una soluzione. Anche perché senza tutti questi problemi e gli atti intimidatori gli archeologi avrebbero già finito da tempo il loro lavoro.

Su questa vicenda complessa si staglia la ferma volontà di due pioniere della Soprintendenza, Laura Cianfriglia e Carmela Ariosto, che stanno lottando a testa alta da anni, nonostante le minacce, perché questo spazio diventi un luogo di cultura per il territorio. Finora sono stati realizzati spettacoli teatrali, laboratori di musica per bambini, visite scolastiche, mostre fotografiche, di pittura o scultura, performance di lettura, eventi musicali o di solidarietà, presentazioni di libri. “Ogni anno stiliamo un calendario di iniziative con le proposte che riceviamo – spiega a b-hop Carmela Ariosto -. Cerchiamo un fil rouge per unire le varie iniziative”.
Il Drugstore è stato dato in comodato d’uso per 20 anni dal proprietario dell’immobile, un costruttore “illuminato” che ha eseguito alcuni lavori e ora vorrebbe donarlo. “Ma noi abbiamo chiesto di fare una Fondazione specifica – precisa Laura Cianfriglia -. Abbiamo pochissime risorse, specie in questo periodo in cui lo Stato sta svendendo i suoi beni. E non abbiamo personale per tenere sempre aperto il museo. Con una Fondazione la Drugstore gallery potrebbe diventare autonoma”.
L’auspicio è il solito: che le autorità responsabili – in primis Comune di Roma e Municipio XI – facciano qualcosa per tutelare la sicurezza dell’area e dei dipendenti e per permettere ai cittadini romani, anche dei quartieri meno centrali, di fruire della cultura a piene mani. Non solo ricevendo briciole, come avviene spesso.