(di Filippo Bocci) – Non c’è spettatore che possa restare indifferente in sala alla proiezione di Oltre la notte, il nuovo film di Fatih Akin, con la potente, inquietante interpretazione di Diane Kruger premiata con la Palma d’oro a Cannes.
Il regista tedesco di origine turca, già vincitore dell’Orso d’oro a Berlino con La sposa turca e di un Leone d’argento a Venezia per Soul Kitchen, dirige un’opera dai ritmi serrati, carica di tensione.

La trama prende spunto da alcuni omicidi a sfondo razziale realmente accaduti in Germania nella prima decade del secolo.
Diane Kruger è Katja Sekerci, che perde in un attentato compiuto da una coppia di giovani neonazisti il marito Nuri e il figlio Rocco.
Parte da qui il racconto e da qui si sviluppa un dramma, giudiziario quanto personale, dove dolore, giustizia e vendetta si intrecciano senza soluzione di continuità.
Katja entra in una non vita, le sue energie fisiche e mentali protese a mantenere il ricordo di chi non c’è più, e nessuno le può essere di conforto.
Nulla possono fare per lei la madre, o la sua amica Birgit, se non istillarle rabbia e frustrazione, e non le è di sollievo il sostegno personale dell’avvocato Danilo Fava, che l’assiste nel processo agli assassini della sua famiglia.
La lezione del film è che, di fronte a un dramma sovrumano, non si può trovare soddisfazione nella giustizia e neppure nella vendetta, categorie che all’umano appartengono.
La nostra eroina affronterà il vuoto della privazione, straziata da un’energia fisica coatta che la fa vivere ma le comprime gli impulsi, la inscatola in una miriade di emozioni che trovano la via d’uscita scaraventandosi a pioggia sullo spettatore, e lo impregnano in una immedesimazione quasi distopica.
Diane Kruger è l’incarnazione fisica di tutto questo, esplosiva, rigida, tatuata anche mentalmente. È il marchio del dolore impresso nella carne, ripreso ossessivamente dalla telecamera che l’attrice fagocita e rimanda in immagini così emotivamente violente che la ripresa fatica a mantenere a fuoco.
Un film fortemente destabilizzante dove, per quanto terribili, i fatti restano secondari e dove le discussioni sull’importanza dell’avere giustizia, o del farsela da sé, sono solo una facile e riduttiva chiave di lettura.
Rimane allo spettatore, angoscioso e impressionante, lo sguardo ferito e fragile della protagonista, che è l’autentica, originale espressione dell’arte di Diane Kruger.