(di Massimo Lavena) – Un film che parla d’amore a 360°: “La Donna Elettrica” è amore per la natura, per una bambina sola, per la musica, per la propria terra, per la propria gemella, è poesia d’Islanda, per gli spettatori che escono dalla sala cinematografica con il cuore colmo di calore e bellezza nonostante il freddo dell’Isola di ghiaccio. Una Islanda che è il centro intorno al quale ruota tutta la storia di questo piccolo gioiellino, con una storia semplice e delicata.
Halla combatte
Negli altopiani islandesi, Halla è una donna che lotta contro le industrie che distruggono la natura: con arco e frecce Halla (una strepitosa ed intensissima Halldóra Geirharðsdóttir, che interpreta anche il ruolo della sorella gemella Asa che sarà una sorta di deus ex machina della storia) sabota le linee ad alta tensione che alimentano una enorme fabbrica di alluminio.
Halla, modesta direttrice di un coro, si pone come una donna che combatte una battaglia giusta per impedire la distruzione della terra, contro il cinismo del capitalismo ad oltranza.
Halla per la vita
La sua non è solo una manifestazione di ambientalismo portato alle estreme conseguenze (la fuga di corsa inseguita da un elicottero o il nascondersi negli anfratti gelidi per sfuggire ai droni della polizia): è un vero manifesto di sopravvivenza della terra, una scelta di vita per la vita di tutti.
E con un gesto antico lancerà ai suoi concittadini il suo proclama, facendolo volare dai tetti con la sua firma, “La Donna Elettrica”.
L’Islanda domina
La corsa a perdifiato di Halla nella natura, che le regala i nascondigli, i prati sconfinati, le sorgenti di acqua calda, le nubi basse, i muschi morbidi, tutta l’Islanda scorre in ogni fotogramma del film.
Benedikt Erlingsson, il regista, gestisce il film come una grande operazione di stile alternato: inquadrature fisse, primi piani, anche da angolature particolari, alternate ad un uso vorticoso di camera a mano in corsa e riprese aeree.
Tutto è un inno alla meraviglia del blu intenso del cielo e dei pascoli verdi a perdita d’occhio dell’Islanda.
Il coro greco islandese ucraino
Halla condivide la sua azione con un funzionario dello Stato che la mette in guardia dai rischi e con un pastore (“un quasi cugino”) che la salverà in alcune occasioni.
Ma è soprattutto la band composta da un suonatore di basso-tuba, un percussionista ed un pianista fisarmonicista, alternata ad un coro femminile ucraino, che poi si mescoleranno insieme, a vivere un ruolo decisivo nel film: i contrappunti musicali non sono esterni ma all’interno della scena.
Dove c’è Halla lì c’è la band o il coro, che diventano vero personaggio narratore delle avventure: un vero coro da tragedia greca, ma che in questo caso regala una punta di umorismo ben distribuita in tutto il film, anche attraverso gli sguardi sottolineatori dei musicisti e delle cantanti.
“La Donna elettrica” è un film che cammina su più livelli: c’è la lotta per l’ambiente e per l’umanità, con l’insegnamento diretto di Ghandi e Mandela; c’è il rapporto di completamento con la sorella gemella Asa, che deve andare in India per specializzarsi come Yogi alla scuola di Maharishi Mahesh; c’è l’attesa per una adozione di una bambina ucraina che ha perso tutta la famiglia nella guerra.
Tutti questi elementi sono tessere del puzzle della vita di Halla che si stringono sino al compimento più potente dell’esistenza, che non è senza sacrifici, ma è colma di speranza e di bellezza.
La bellezza dell’acqua che depura e che rende ancora più forte il legame tra mamma e bambina; la bellezza dei fiori delle corone delle cantanti ucraine che ritornano e si mescolano con altri fiori in tutto il film; la musica che si intreccia coi suoni della natura; la semplicità del contatto del viso con il muschio ristoratore.
Tutto è semplice ne “La Donna Elettrica” ma così bello che la volontà di rivederlo per concentrarsi su ogni più piccolo particolare è più che una tentazione.
E un bravo a chi scoprirà la citazione di “2001: Odissea nel Spazio”.