(di Margherita Vetrano) – Un bel risveglio per gli spettatori che hanno apprezzato Bohemian Rhapsody, il film di Bryan Singer premiato ai Golden Globes come miglior film drammatico e Rami Malek come miglior attore in film drammatico. La storia dei Queen ma soprattutto la leggenda di Freddie Mercury non conosce tramonto e la sua stella continua a brillare ancora più splendente a 28 anni dalla scomparsa.
Un successo annunciato anche dal trend positivo di cui è stato protagonista durante le ultime settimane, un sold out da botteghino che s’è rinverdito quando ormai le statistiche prevedevano l’uscita dalle sale.
Formazione, ascesa e successo del celeberrimo gruppo britannico tra gli anni Settanta ed Ottanta, un’avventura travolgente poiché tale è stata la loro storia.
Un gruppo rock che ha sperimentato tanto, potendo affidarsi a talenti e cervelli fuori dal comune; ecco l’effetto di una band di nerds (un dentista, un astrofisico, un ingegnere e un parsi) che ha scolpito pagine della storia della musica.
Una famiglia in cui le diversità dei suoi membri hanno consolidato un marchio unico ed irripetibile. L’arte passa per la cultura e da essa trae ispirazione; è questa l’alchimia che ha permesso loro di scrivere pezzi indimenticabili come Innuendo, infrangendo le regole musicali.
Hanno distrutto la ripetitività dei testi, portato l’Opera nella musica rock, evocato registi (“Metropolis” di Fritz Lang con Radio Gaga) ma soprattutto sono stati precursori dell’interazione col pubblico che sapevano mandare in visibilio, grazie anche alla grande attrazione che su di esso esercitava Mercury.
Contraddistinto da una personalità eccentrica, gli era totalmente devoto ed esso lo ricambiava; uomini e donne sedotti dal suo fascino e dalla sua voce unica, irripetibile.
Un Supersonic man che ha soppiantato l’uomo, abbandonando le origini e costruendo
un’icona perfetta, un’estensione vocale in grado di coprire tutte le tonalità, un’artista sensibile in grado di scrivere ballate romantiche come Show must go on.
Freddie era ciò che viveva e lo faceva pienamente, pur non riuscendo mai a superare il grande vuoto che aveva dentro e che le leggendarie feste di cui era artefice non facevano che appesantire.
Il film di Bryan Singer lo spiega molto bene (“La condizione umana a volte richiede un po’ di appannamento”) così come racconta il candore di un uomo troppo solo, innamorato della sua platea e di Mary.

Bohemian Rhapsody è un film sulla musica, sul talento ma anche sulla solitudine e la fragilità degli uomini.
E’ un film commovente, in cui si toccano temi come l’AIDS, ed emotivamente potente nel raccontare il mondo del rock.
L’episodio del Live Aid, cruciale nella narrazione, impatta profondamente sullo spettatore, rimescolando e detonando emozioni punteggiate per i precedenti 100 minuti ed è difficile non sentirsi parte dell’oceano umano del Wembley stadium anche se i Queen non ci sono mai piaciuti o ai loro tempi non eravamo nemmeno nati.
Molto complessa la scelta del protagonista che se sulla carta sembra una parodia dell’originale, grazie alla sapiente regia rasenta degli apici di identificazione perfetti.
Un ottimo lavoro quello di Malek che ha dimostrato di aver studiato i dettagli, puntando tutto soprattutto sulla mimica e le movenze, ora feline ora a scatti. Meno complesso il giudizio sugli interpreti di Brian May e John Deacon, cloni perfetti.
Dieci e lode alla colonna sonora.
Un esperimento molto coraggioso poiché ha diviso i fans ma globalmente riuscito.
Sebbene, riaccese le luci in sala, resta tanta nostalgia per un performer eccezionale, scomparso troppo presto.
Don’t stop me now cantava: ed è vero, la sua leggenda continua.