di Massimo Lavena – Caro Paolo Rossi, ho pensato di scriverti per dirti grazie per tutte le cose belle che mi hai regalato in tutti questi anni che ci siamo conosciuti.
Eri sempre lì, pronto a donare gioia e lo facevi come se fosse la cosa più semplice del mondo.
Quando poi ti accorgesti che le tue gambe non ce la facevano più, e, forse, anche la tua voglia di sbatterti contro marcantoni ben più grossi ed atletici di te non c’era più, ti fermasti: invero la tua forza era proprio quella di essere più prossimo fisicamente ad un qualsiasi impiegato di una qualsiasi amministrazione pubblica che a quelle di una superstar del mondo del calcio.
Passavi inosservato, anche quando eri già un goleador osannato. Ma eri sempre lì, al posto giusto, al momento giusto, che sgusciavi tra selve di gambone ipertrofiche ed accalappiavi palloni, che con le tue gambette spedivi, immancabilmente, in rete. Goooooooool! Ha segnato Paolo Rossi!

Che belle parole, che belle sensazioni, con il tuo viso da bravo ragazzo e la tua voce, lieve che non ha mai pronunciato parole strillate: anche quando, in quel pasticciaccio brutto – non di via Merulana ma del giuoco del calcio italiano – venisti accusato, insieme con tanti altri giocatori e supposti campioni, di esserti venduto, di aver ciccato volontariamente un pallone per accomodare una partita.
Quello scandalo del calcioscommesse del 1980, il Totonero, fu una frustata bestiale per tutti i tifosi: la tua immagine di bravo ragazzo fu incapsulata per due anni (all’inizio tre) in un giudizio di squalifica, che ti e ci privò per troppo tempo del saltino a pugni chiusi in aria, tuo gesto tipico di gioia ad ogni rete gonfiata.
Perdesti tante domeniche, ma caro Paolo Rossi (come Gigi Riva, sempre nome e cognome per te) chi ti voleva bene aspettò.
L’attesa fu lunga e triste, ma alla fine sappiamo tutti come andò: tre goal al Brasile, due goal alla Polonia, il goal che sbloccò la finale del Mundial spagnolo del 1982 contro la Germania. Fosti “El Hombre del Partido” della semifinale, capocannoniere di quella fantastica edizione, Pallone d’oro.

Il mondo pallonaro ti aveva sbertucciato, gridato “Ladro!”, voltato le spalle, denigrato mentre sotto le cure amorevoli di quel testardo di Bearzot ritrovavi le tue forze e, soprattutto, il fiuto del killer sotto porta: dell’assassino silenzioso che uccide la sua vittima senza che nessuno si accorga di lui, e che dopo il delitto si allontana, lasciando solo un alone di mistero e un cadavere caldo, dentro una rete, in un campo di calcio.
Quelle magliette che ti stavano sempre troppo grandi, quasi a dover dimostrare la tua normalità, diventavano invece un mantello di un supereroe: ancora oggi i francesi si chiedono da dove sbucasti in quel 2 giugno 1978, all’Estadio Mundialista di Mar del Plata, durante i mondiali in Argentina, ancora cercano un pallone impazzito, come un flipper, e alla fine lo spingesti dentro tu, apparentemente per caso, come sempre, ma come sempre ti trovavi al posto giusto al rimpallo giusto.
Ancora oggi Valdir Peres, il portiere del Brasile, ti sogna la notte: lo hai costretto a raccogliere tre palloni dalla sua porta gialloverde nell’Estadio Sarriá di Barcellona, profanata da uno che no, non passava di lì per caso.
Sai, Paolo Rossi, volevo raccontarti una storia: era il 24 ottobre 1976, una domenica di quelle nelle quali, a Cagliari, si riempiva lo Stadio Sant’Elia di tifosi provenienti da tutta la Sardegna. Gigi Riva aveva smesso di giocare, dopo l’ultimo drammatico infortunio ed il Cagliari era retrocesso in Serie B: ma stava facendo un bel campionato, con Virdis, Piras, il saggio Brugnera, ultimo testimone del Cagliari campione d’Italia.
Quella domenica al Sant’Elia arrivava il Lanerossi Vicenza, che dominò il campionato fino alla fine, ma in quel momento era primo a pari punti col Cagliari. Una sfida al vertice.
Ed io, piccolo tifoso rossoblù feci un diavolo a quattro in casa perché volevo, dovevo, andare allo stadio, la prima volta della mia vita, per vedere il nuovo gioiello del calcio italiano, lo sgusciante goleador Paolo Rossi. E fu così che in curva sud, per la prima volta mi ritrovai a gridare, con altri cuori rossoblu il ritmato “For-za-Ca-glia-ri”.
Il sole ottobrino, caldo e salato, e l’asfissiante marcatura che ti regalarono i terzini Longobucco e Ciampoli forse non ti fecero giocare la tua partita più bella. La gara finì uno a uno, tu non segnasti, ma quel campionato fu tutto tuo: capocannoniere con 24 reti. E via verso un futuro radioso. Ecco, io ti ricordo, con la maglia a strisce biancorosse del Lanerossi Vicenza, ricordo che il tuo nome faceva paura, ma eri così apparentemente fragile che non potevi diventarmi antipatico.

Caro Paolo Rossi, grazie per i tuoi goal, grazie per i tuoi sorrisi, grazie per le tue numerose opere di beneficenza, nascoste e continue, grazie per aver saputo dare coraggio a tanti giovani che non si sono mai arresi.
Ora che incontrerai Diego, George, Johan, Gerd, Gaetano, salutali, e le praterie di Manitù potranno godere delle più belle partite di calcio che mai si son viste nel mondo ed anche in cielo.
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