(da Londra) – Le immediate conseguenze del Brexit hanno portato sul Regno Unito un clima di sgomento generale: la vittoria estremamente risicata del partito del “leave” ha mostrato un paese profondamente diviso.
Mentre molti rimpiangono la propria scelta in sede referendaria, le immediate reazioni del mondo britannico sono piuttosto allarmanti: da Scozia, Irlanda del Nord e Gibilterra che minacciano la rivendicazione dell’indipendenza volta a restare nell’Ue, alla preoccupazione delle grandi imprese con sede legale/fiscale nel Regno Unito che guardano all’Irlanda come nuova possibile location, alla sterlina che crolla vertiginosamente.
Perché una realtà così profondamente inglese – divisione territoriale, ideologica e culturale – venuta alla luce con il Brexit è in grado di influenzare tanto lo sguardo italiano?
Non è un segreto che l’Europa unita è sempre stata fonte di malcontento generale per varie ragioni, dall’aumento incontrollato dei prezzi e il calo del potere d’acquisto salariale ai regimi di ristrettezza dell’austerity volti proprio e rispettare quei parametri europei tanto problematici.
D’altra parte l’Europa e le sue direttive (o imposizioni) ha sempre rappresentato l’ennesimo capro espiatorio cui il populismo più becero è solito muovere guerra. La lettura del Brexit e dei suoi effetti allora dovrebbe farci riflettere sulle conseguenze derivate dal cedere a un tale populismo estremamente privo di contenuti: scegliere di dividersi da una comunità (nonostante i suoi pro e contro) porta a divisioni successive man mano più pericolose e dannose.
Il flusso storico – fatto di tecnologie, facilità di spostamento e flussi migratori – spinge l’umanità alla coesione, al multiculturalismo e alla globalizzazione. Possiamo non apprezzare alcuni, o molti, dei risultati che questo flusso comporta, ma non è saggio remare contro la corrente della storia, perché si resta schiacciati. Così, mentre il Regno Unito – uno dei paesi economicamente più forti al mondo – fronteggia il rischio di una pesantissima recessione, in Italia gli anti europeisti festeggiano.
Se mai si arriverà a un simile referendum nel nostro paese dovremmo – prima di esprimere la nostra preferenza – riflettere su molti fattori quali l’eventuale potere d’acquisto di una neo lira italiana nei confronti di un mercato che geograficamente è per forza di cose europeo, o sull’impossibilità di ogni forma di sostegno da parte dell’Europa a fronte dell’emergenza rifugiati e migranti, che non si arresterebbe magicamente con i confini ripristinati, anzi renderebbe ancora più difficoltosa la già esigua rilocazione dei richiedenti asilo e la distribuzione su un territorio che non sarebbe più europeo ma puramente italiano.
Il mondo non segue logiche facili o lineari ma le implicazioni di molteplici vicissitudini che si intrecciano tra loro in maniere poco lineari e complesse; questo impedisce a soluzioni banali di essere efficaci, evidenziando piuttosto quanto esse siano dannose per tutti.
L’Europa unita è un’istituzione ricca di difetti, problemi e vizi di sostanza ma è anche un progetto capace di mantenere la pace in un continente storicamente logorato da guerre e conflitti di ogni genere, senza dubbio un’unità prettamente economica porta conseguenze negative di stampo materialista, posizionando i paesi più deboli in sudditanza rispetto ai forti, ma la soluzione a tale disparità andrebbe da ricercare non in una divisione che non gioverebbe a nessuno, quanto a una maggiore attenzione all’eguaglianza anche di fronte al libero mercato, a partire ad esempio da quella del peso fiscale.
Un fisco unico, europeo, potrebbe evitare la facilitazione che le grandi lobby commerciali hanno nei confronti delle piccole e medie imprese che non possono rilocalizzare le proprie sedi in luoghi meno gravati dalla tassazione, come fanno invece i grandi gruppi che ottengono così un vantaggio competitivo enorme. Una fiscalità europea porterebbe un controllo anti-evasione unico e maggiormente incisivo a favore dei paesi dove l’evasione è una vera e propria piaga (quali l’Italia). Affinché questo avvenga, però, è necessario cedere sovranità piuttosto che separarsi per ottenerne quote maggiori.
Con un’Europa unita politicamente e non solo economicamente potremmo finalmente realizzare il sogno di un continente unito, solido e forte, capace di affrontare le sfide che il prossimo futuro ci riserverà.
Singoli Stati non possono più far fronte ad emergenze in un mondo – volenti o nolenti – globalizzato e quindi di portata mondiale.
Cedere al populismo, al campanilismo (o ancor peggio al razzismo e al fascismo) non possono che condurci alla catastrofe.