di Filippo Bocci – Sconforto, rabbia e incredulità sono i sentimenti che crescono spontanei nel leggere Braccia rubate. Donne uomini e caporali, libro della collana di Left, la rivista settimanale di Editoriale Novanta. Molte le firme di questa miscellanea a cura di Leonardo Filippi, che raccoglie numerosi articoli scritti tra il 2017 e il 2020, un contributo significativo nel tracciare il quadro dello sfruttamento dei lavoratori agricoli, diffuso soprattutto al Sud, ma un po’ in tutta Italia che muove un giro d’affari di quasi cinque miliardi di euro.
Si entra subito in medias res, con il racconto desolante di questi uomini e donne, “persone oltre le braccia”, che vivono di fatto in stato di schiavitù, lavorando fino a dodici ore giornaliere con una retribuzione irrisoria di due/tre euro l’ora. Pur contabilizzato in una busta paga mensile, si tratta in realtà di un lavoro a cottimo e perlopiù al nero. Le tutele sono inesistenti e gli alloggi spesso precari e inadeguati. Non esiste una rete di trasporti verso i luoghi di lavoro e la “raccolta” dei braccianti è affidata ai caporali attivi nel reclutamento e organizzazione dei lavoratori, un sistema “che opera, ogni giorno di più, sotto al controllo severo della mafia nigeriana dell’Ascia nera”, spiega lo scrittore Leonardo Palmisano in uno degli articoli dello stesso Filippi.
Le pagine più buie del libro sono quelle che ci portano nel vissuto quotidiano di queste persone, confinate in veri e propri ghetti, dove hanno spesso trovato la morte nel fuoco delle baracche.
Perché non siano solo dei numeri, forse vale la pena ricordare i nomi delle vittime: Mamadou Konate e Nouhou Doumbia morti nel marzo del 2017 nella zona della Capitanata, in provincia di Foggia; Surawa Jaithe e Becky Moses nel 2018 e Moussa Ba e Sylla Noumo agli inizi del 2019, bruciati nelle baraccopoli incendiate di San Ferdinando, nella piana di Gioia Tauro; e ancora Eris Petty Stone morta nell’ennesimo incendio, questa volta a Metaponto di Bernalda nell’agosto del 2019. Straziante la testimonianza di Paco – riportata nell’articolo di Angelo Ferracuti – che ha assistito alla morte di Moussa Ba:
“Prima di andare a dormire, ha detto che era molto stanco perché aveva lavorato molte ore. Si sentiva l’odore della carne bruciata, ho pianto tutta la notte, non riuscivo più a dormire”.
A volte si muore di infarto, come Paola Clemente che, nonostante fosse cardiopatica, dalla zona di Taranto veniva portata a Barletta (150 chilometri) per l’acinellatura dell’uva, sottoposta ad un regime di lavoro superiore a quello contrattualizzato, pagata meno del dovuto, semplicemente sfruttata.
A uccidere possono anche essere gli spostamenti, e così la raccolta dei pomodori è stata fatale per sedici braccianti della Capitanata, che hanno perso la vita ai primi di agosto del 2018 in due diversi incidenti: i camioncini stracolmi che li trasportavano si sono scontrati con dei tir.
Per non parlare, infine, di quando si viene uccisi a fucilate come è avvenuto a Soumaila Sacko nel giugno del 2018 a San Calogero, sempre nella piana di Gioia Tauro.
Sono persone lasciate sole che il più delle volte non ce la fanno a ribellarsi e a denunciare. Spesso sono donne, educate soltanto ad obbedire: “Tutte vorrebbero una vita diversa – dice, in questo caso in veste di autore, ancora Leonardo Palmisano – ma nessuna è pronta a scioperare, perché nessuna è figlia della cultura del diritto. Hanno insegnato loro soltanto il dovere di dire sì, di accettare la volontà del padrone”.
Una parte fondamentale del libro ci spiega che è il mercato a creare lo sfruttamento e che a comandare è la Grande distribuzione organizzata (Gdo) capace di convogliare il 72% degli acquisti alimentari del nostro Paese. La Gdo, imponendo i suoi prezzi, incide su tutta la filiera produttiva, con gli agrumi acquistati nella piana di Gioia Tauro a sette centesimi di euro al chilo e i pomodori a meno di dieci centesimi. È una catena perversa che costringe l’agricoltore a vendere i prodotti ad un prezzo minimo e a recuperare profitto solo svilendo la qualità del prodotto o abbassando il costo del lavoro. “Siamo di fronte a un ‘modo di produzione’ di marxiana memoria – si legge in un articolo dell’avvocato Mauro Sentimenti –. Un’intera economia che gira su di un triplice presupposto: quello economico del prezzo imposto da oligopoli e grande distribuzione, quello ambientale di progressiva distruzione dei terreni agricoli e delle fonti di sopravvivenza dei piccoli coltivatori, quello di un lavoro reso tendenzialmente servile”.
Lo Stato è intervenuto nel 2016 con la “storica” legge 199, la cosiddetta legge “anticapolarato”, che incide sulla repressione del fenomeno ma non è stata attuata nella pars construens, quella che doveva porre mano agli squilibri della filiera produttiva. E così la “Rete del lavoro agricolo e di qualità”, ideata come una vetrina di imprese pulite per un’agricoltura sana, ha visto iscriversi solo 3900 aziende su potenziali 100.000, perché è uno strumento poco appetibile, non apportando alcuna miglioria alla forza contrattuale degli agricoltori rispetto allo strapotere della Grande distribuzione.
Inefficace sembrerebbe essere all’atto pratico la sanatoria predisposta dalla ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova con il decreto ‘Rilancio’ del maggio 2020: la maggior parte delle richieste sono infatti arrivate dal settore dell’assistenza domestica. Come avverte già nell’introduzione il curatore del volume, il provvedimento è molto discusso e “si è rivelato un vero e proprio flop, che in alcuni casi ha persino esposto ad ulteriori ricatti i lavoratori che cercavano di mettersi in regola”.
Braccia rubate, scritto con profondità di analisi e spirito costruttivo, è il libro giusto per chi voglia informarsi sui meccanismi aberranti di un sistema che si regge su logiche subumane.
Braccia rubate è una lettura certamente istruttiva, inevitabilmente disturbante, ma oltremodo necessaria.
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