(di Rinaldo Felli) – Blackkklansman, l’ultimo film di Spike Lee, premiato a Cannes con il Gran Prix speciale della giuria, è un’opera necessaria. Da pochi giorni nelle sale italiane, il film, che annovera tra i protagonisti John David Washington (figlio di Denzel), Adam Driver e Topher Grace, è un adattamento cinematografico del romanzo Black Klansman scritto dall’ex poliziotto Ron Stallworth.

La vicenda narra quanto realmente accaduto allo stesso Stallworth agli inizi degli anni ’70 quando, divenuto il primo detective afroamericano del dipartimento di polizia di Colorado Springs, riuscì incredibilmente ad infiltrarsi, con un geniale stratagemma, nel Ku Klux Klan.
Fingendosi un estremista razzista:
“Beh, visto che me l’ha chiesto, io odio i neri, odio gli ebrei, i messicani e gli irlandesi, gli italiani e i cinesi, ma soprattutto odio a morte quei vermi neri, lo giuro su Dio! E chiunque altro non abbia puro sangue bianco ariano che gli scorre nelle vene”,
Ron contattò il gruppo e grazie alla collaborazione con il detective ebreo Flip Zimmerman riuscì ad ottenere la tessera di membro ed addirittura ad ottenere la fiducia del Gran Maestro del Klan David Duke.

Film acuto, intelligente, sarcastico, divertente, ben diretto, ottimamente interpretato ma soprattutto, come già scritto, film necessario per l’urgenza e la stretta attualità del tema trattato.
Spike Lee, forse memore della lezione pirandelliana, ci rappresenta piccoli ridicoli razzisti, spesso addirittura comici nella loro ottusa idiozia ma proprio per questo anche orribilmente tragici.
Il propellente per la loro xenofobia è insito nella fragilità umana, nella paura del diverso, del nero scimmione considerato esclusivamente come stupratore seriale di donne bianche o dell’ebreo, peggio se “ebreo finocchio”, immaginato come soggetto intento all’appropriazione di qualsiasi proprietà altrui.
Il fiammifero per dar fuoco a quel propellente resta ben saldo nelle mani dei venditori d’odio, in quei presunti predicatori di un qualche Dio che assegna all’uomo bianco il diritto alla supremazia o che infiammano le piazze gridando false teorie sull’eugenetica e sulla purezza della razza ariana.
Film urgente, necessario perché quei venditori d’odio sono tornati, sono tra noi.
Il Gran Maestro del Klan David Duke, al grido di “American First”, è tornato ad arringare le piazze, Donald Trump, il Presidente della prosperosa America, non ha sentito neanche lontanamente il bisogno di condannare le posizioni razziste, xenofobe dei movimenti dell’ultradestra che nel 2017 provocarono gli scontri di Charlottesville e la morte di una manifestante antirazzista.
In Europa, come ben sappiamo, alcuni Paesi sono guidati da leader nazionalisti, sovranisti, in alcuni casi addirittura negazionisti che continuano a strumentalizzare la tragedia dei migranti per fomentare paure ed odio.
In Brasile, notizia di queste ore, il primo turno delle presidenziali è stato vinto dal candidato di estrema destra Jair Bolsonaro.
In questo funesto contesto storico, non molto dissimile da quello che provocò il nazismo, Spike Lee restituisce al cinema, all’arte uno dei suoi compiti primari, farsi coscienza civile, morale, lavorare per stimolare riflessioni, ragionamenti e conseguentemente produrre, speriamo, un cambiamento positivo nella società.
Se, come canta Francesco De Gregori, “la Storia siamo noi” è tempo, per chi si è emozionato ed indignato nel vedere Blakkklansman, di
tornare all’impegno civile per realizzare, anziché il ritorno al passato, un auspicabile “Ritorno al futuro”.