A volte serve un film, un libro o una canzone per risvegliare le coscienze generali. Come è accaduto per il fenomeno della ‘ndrangheta in Calabria, di cui si parla nel film “Anime nere” di Francesco Munzi, tratto dall’omonimo romanzo di Giacchino Criaco. La pellicola è ambientata nel paesino di Africo, in provincia di Reggio Calabria, spesso teatro di faide, omicidi e trame di malavita. Un film di rara bellezza, anche se per l’ennesima volta Africo è stato il capro espiatorio di un mondo molto più espanso. Come se l’unico modo per dar attenzione alla Calabria sia parlare della piaga della malavita e considerarla come il solo male dell’estremo meridione. C’è ben altro da tenere in considerazione…
“Anime nere” narra la storia di tre fratelli calabresi coinvolti nella “malavita”: Luigi trafficante internazionale di droga; Rocco, complice del primo, che vive a Milano con sua moglie ed una figlia; e Luciano, un semplice pastore che in qualunque modo cerca di rifiutare la condotta malavitosa e non ha mai abbandonato il loco natio, Africo, punto nevralgico della’ndrangheta. Leo, il figlio di quest’ultimo, innesca, sparando alla saracinesca di un bar, una faida che porterà ad una totale distruzione.
Ma cos’è, e cosa veramente affresca, “Anime nere”? Semplicemente un’opera cinematografica, vincitrice ai David di Donatello per la miglior regia, miglior film e miglior sceneggiatura? Banalmente, uno stupefacente libro che Criaco è riuscito a comporre? Ed ancora: la realtà che dipinge, soprattutto agli occhi di chi a quelle terre non “appartiene”, è artefatta? Una messa in posa per un pubblico inconsapevole?
Non vi sono dubbi che la scelta di ambientare le vicende ad Africo, rimanendo fedele all’ambientazione dello scritto, non è casuale. Il paesino è realmente ciò che la pellicola dipinge: una splendida scogliera, un mare incantevole e uno stupefacente panorama collinare che fanno da corona ad un contesto sociale di piena desolazione, di assoluto abbandono e di assordante silenzio.
Indiscutibile anche il dipinto di una gioventù, nel film rappresentata da Leo, che inevitabilmente è fagocitata dal “leviatano” di quel tipo malsano di fierezza: il termine ‘ndrangheta deriva infatti dal greco classico andragathía (ἀνδραγαθἰα) “prodezza, fierezza”.
Il film tesse una trama realistica all’interno di uno scenario assolutamente verosimile e pone tra le labbra degli attori un dialetto che non solo è calabro, non solo appartiene alla zona, ma è quello tipico del paese e dei centri urbani immediatamente vicini. Nel finale cerca anche di fornire una visione risolutiva al fenomeno, un modo del tutto particolare di disinnescare una miccia altrimenti letale.
Certo la realizzazione della pellicola è magistrale; quello che, invece, spiace e rammarica chi in questo momento scrive è semplicemente il fatto che per l’ennesima volta Africo sia stato il capro espiatorio di un mondo molto più espanso. Mi addolora pensare che l’unico modo per dar attenzione a tale terra, la Calabria intendo, sia la piaga della malavita e ancor di più il fatto di considerarla come il solo male dell’estremo meridione.
Non ci sono dubbi, infatti, che tale fenomeno sia un flagello, un’insensata forma virale che ammorba l’aria dell’estremo sud, ma sicuramente non penso che la spiegazione ai mali di tali luoghi possa passare solamente attraverso la questione malavita. E’ la conseguenza di un mondo arido ed infruttifero!
Basti pensare, prendendo un banale esempio, che spesso i giovani di questi piccoli paesi – poiché ogni cosa parte da loro – devono percorrere centinaia di chilometri per trovare una libreria, un cinema, un teatro; che altrettanto spesso, nell’assenza di strutture culturali, ricreative e sociali, l’unico modo per ingannare la Medusa dal nome Noia sia quello di bighellonare senza meta tra i vicoli; nell’assenza di una prospettiva professionale su base locale la fuga assume il fascino di una sirena che, se non ascoltata, spesso conduce nelle fauci delle “organizzazioni” a delinquere.
Influisce molto anche la carenza di una rete di trasporti che permetta di far conglobare un’aria cosmopolita e la freschezza di nuove prospettive di vita: la provincia di Reggio Calabria è servita da un solo piccolo aeroporto con una quantità esigua di voli, la rete ferroviaria risulta sempre più debole man mano che si penetra nel territorio, per non parlare della questione già “digerita” della Salerno-Reggio Calabria

Per dare nuova linfa ad un albero morente devono essere sì levati i rami secchi, ma la terra posta ai suoi piedi, dovrebbe, con eguale priorità, essere arata e arricchita per non essere soffocata dalle cattive erbe.