(di Maria Ilaria De Bonis) – Non si arrendono gli studenti universitari in Albania e non cedono di fronte ai tentativi del primo ministro Edi Rama di far leva sulla loro paura, usando la propaganda.
Iniziata a dicembre, la loro è una protesta molto tenace e ragionata, contro un sistema che favorisce spudoratamente, dicono, l’università privata a detrimento di quella pubblica.
“Stiamo ancora aspettando una risposta seria da parte del governo – dichiara a B-hop uno dei leader degli studenti di Tirana Erdi Berxulli –, che non sia solo propaganda o sciocchezze”.
Erdi ci conferma che le richieste degli universitari sono sostenute e condivise dai docenti, i quali
chiedono l’abrogazione della Legge sull’Istruzione superiore del 2015.
Il giovane racconta che venticinque persone (compreso lui) che dall’inizio della contestazione di dicembre hanno guidato le rivolte, sono state prima perseguite e poi rilasciate, dopo la parziale marcia indietro di Edi Rama.
“Adesso – ci spiega lo studente – l’Assemblea Nazionale dei Professori ha deciso che sospenderà le lezioni se la legge sotto accusa non sarà del tutto abrogata”.
In effetti era dal 1990 che non si vedeva una protesta simile in Albania. Dai tempi della caduta del regime comunista di Enver Hoxha, avviata proprio dagli studenti universitari.
Stavolta la loro rabbia è esplosa quando si sono sentiti beffati dall’annunciato raddoppio delle tasse universitarie, a fronte di una qualità dei servizi scadenti e un insegnamento sempre più impoverito.
“Dobbiamo sopportare delle miserabili condizioni di vita nei dormitori dell’università”,
denuncia Erdi, mentre proliferano gli atenei privati finanziati dallo Stato. E così a partire dal 4 dicembre scorso hanno mobilitato le piazze per giorni e giorni, riempiendole con decine di migliaia di persone, a Tirana come a Scutari.
Studenti e docenti chiedono una Riforma in otto punti che prevede tra l’altro la riscrittura totale della legge sull’istruzione superiore alla quale si oppongono da quattro anni.
Il punto cruciale è il proliferare indiscriminato di atenei privati (sono 24 su 41) che da almeno un decennio minacciano l’intero sistema pubblico albanese.
«Il nostro è un sistema di pubblica istruzione con un handicap», ha raccontato a Nature una delle studentesse leader nei cortei.
«L’insegnamento è pessimo e gran parte delle scuole non possiede neanche il riscaldamento e le tasse sono troppo elevate».
E’ un dato di fatto che l’Albania di Rama (il socialista che ama il liberismo sfrenato ed è in carica dal 2013), e dei suoi predecessori, ha creato un apparato ibrido che equipara università pubblica e privata, trasferendo a quest’ultima molte risorse e favorendo l apertura di nuovi atenei.
Ammonta al 3,3% del Pil la spesa totale per l’istruzione, meno dell’1% va all’università.
Gli studenti vogliono un incremento del budget statale per la pubblica istruzione che arrivi al 5% del Pil.
Ma non è neanche solo una questione di soldi. E’ una questione di dignità e di priorità.
Dopo l’ennesimo affronto – il raddoppio della quota dovuta per sostenere due volte un esame – studenti e docenti stremati hanno detto basta. Come ci conferma il giovane leader della contestazione Edri, non si accontentano dell’ennesimo tavolo negoziale proposto dal governo: non cercano la mediazione blanda, vogliono qualcosa di più di un semplice ‘sconto’ sul prezzo delle rette universitarie.
Sanno che corruzione, abuso di potere e apertura sregolata del mercato stanno inficiando il loro futuro.
In Albania il welfare non funziona: si concede ai privati il diritto di occupare con troppa facilità (le licenze per aprire un ateneo vengono concesse a chiunque purché paghi) spazi pubblici di cultura, istruzione, formazione superiore e anche sanità.
E’ risaputo in tutta Europa che le lauree in Albania si possono facilmente comprare.
«Abbiamo a che fare con un grosso dramma sociale – denunciano gli studenti– le cui radici affondano nella corruzione e in una politica in stile totalitario che devia le risorse verso il privato».

D’altra parte basta fare un giro appena fuori Tirana per vedere questi atenei, o navigare qualche sito-web di corsi rivolti anche agli stranieri, per imbattersi nelle decine e decine di offerte di lauree a buon mercato nei tanti istituti fasulli.
E’ una specie di osmosi al contrario quella proposta da Rama: togliere agli studenti poveri per dare a quelli “ricchi”.
Il governo ha individuato nell’università un business fiorente e ha spinto l’acceleratore su quel tasto. Col risultato che l’istruzione è diventata un affare come un altro.
La buona notizia anche in questa storia c’è, come in tutte le storie che vedono una sana mobilitazione dal basso per il ripristino di diritti elementari.
Questa rivolta in Albania ha risvegliato il senso civico sopito: ha dato la stura ad un malcontento generale e ha fatto capire ai giovani che possono essere ascoltati
Come spesso accade con le proteste, i media locali e stranieri le seguono finché fanno notizia, finché riempiono le piazze.
Ma questo moto è da seguire, a prescindere da quanto rumore faccia.
È una presa di coscienza importante perché va oltre la scuola e oltre i numeri, riguarda la contestazione di un sistema che vira pericolosamente verso un capitalismo acritico e senza freni.
La questione universitaria nello specifico ci coinvolge tutti, poiché l’Italia ed altri Paesi dell’Unione europea sono clienti del sistema universitario albanese: basti pensare ai nostri studenti di medicina che non passando i test di ammissione si iscrivono in queste università dove l’accesso è facilitato.
Ogni nostro gesto ha una conseguenza di più vasta portata ed alimenta dei mercati. Anche questa è una responsabilità da assumerci.
Foto di apertura: Balkan news