(di Francesca Sanna) – Ci vuole un’idea veramente pazza per usare la bellezza come arma di rivoluzione. Quella bellezza che accorcia le distanze, sembra rimpicciolire il mondo e invece lo fa, se possibile, ancora più grande.
Luna Scarlatta, associazione culturale che da anni si muove all’interno del panorama culturale italiano, è stata ospite con il festival Pazza Idea 2019 della poetica atmosfera delle sale dello spazio espositivo del Ghetto, nel quartiere Castello a Cagliari, nell’area che ospitò la comunità ebraica a partire dal Medioevo.
Giunto all’ottava edizione, l’appuntamento e stato dedicato quest’ anno ai temi della bellezza e della rivoluzione. Quattro giorni intensi di proposte culturali, dal 21 al 24 novembre. Poesia, musica, la costante ricerca del senso all’interno delle più affascinanti forme di comunicazione si sono cullate nell’alternarsi del silenzio e del ritmo degli argomenti proposti, replicando il suono delle onde e del vento che è tipico di Cagliari.
Se è possibile, come diceva Umberto Eco, che non dobbiamo sperare di liberarci dei libri, il festival è stata l’occasione per dimostrarlo. Come rendere gli spettatori coscienti dell’importanza delle parole, dunque? Parlando dei libri e delle parole di cui sono scritti, a partire dalla magia delle parole scritte bene.

Mattea Lissia, presidente di Luna Scarlatta, ha voluto fare proprio dei libri il centro della sua proposta. E ha saputo trasformare l’intero festival in un viaggio, in cui proprio i libri sono stati le mappe passo passo necessarie ad affrontare la strada. Un percorso di vita tra compagni sconosciuti, uniti dal desiderio di conoscere e di arrivare alla stessa meta della bellezza e, se è vero che solo la bellezza ci può salvare, anche alla rivoluzione.

Non poteva che essere Vera Gheno, sociolinguista specializzata in comunicazione digitale, a inaugurare il percorso con il suo “Potere alle parole”. Perché
“ognuno di noi è le parole che sceglie: conoscerne il significato e saperle usare nel modo giusto e al momento giusto, ci dà un potere enorme”.
E il valore delle parole ha dominato tutte le altre tappe.
Così Fabio Magnasciutti, illustratore e vignettista che al Ghetto ha curato una mostra permanente delle sue opere, ha spiegato come nasce un’illustrazione, l’uso della metafora e dei luoghi comuni. Ha raccontato come la ricerca del senso delle parole sia la base di partenza per comunicare attraverso il tratto.
Nella parola risiede la ricerca della felicità (“Lezioni di felicità: esercizi filosofici per il buon uso della vita” – Ilaria Gaspari -). La poesia non è lontana nemmeno dal giornalismo anche quando è un giornalismo di cronaca sociale. Domenico Iannacone, Rai3, ha spiegato quale sia l’importanza delle parole in un lavoro in cui non si dovrebbe mai perdere il rispetto nei confronti del proprio interlocutore.
“Nel corso della mia vita, la poesia mi ha attraversato”, ha raccontato il giornalista. “Volevo fare un giornalismo morale e quando qualcuno mi dice che quello che faccio è poetico, io capisco cosa intende. La poesia e la parola fanno parte di me“.
È stato emozionante vedere professionisti commossi nel raccontare le proprie storie di vita e passioni. Scoprirli capaci di condurre gli ascoltatori lungo il cammino e incoraggiarli a proseguire la scoperta con la forza che in nessun altro modo si può trovare se non a partire dai propri sogni.
E allora sì che la bellezza può essere un’arma. Un’ arma di difesa della propria identità.
Perché nessuna rivoluzione può essere mossa in nome di un perché che non sia il nostro profondo desiderio di leggere il mondo.
Ogni tappa del viaggio è passata attraverso le pagine di un libro. Dal primo all’ultimo appuntamento, chi ha ascoltato il suono delle parole ha avuto la sensazione di poter sentire il ritmo delle lettere battute sulla tastiera di una macchina per scrivere. Il silenzio dovuto a chi parla e a chi ascolta. La musica del cucito e di nuovo il ritmo del tratto di chi disegna.

Parole scritte, parole recitate, la poesia che ancora commuove quando racconta le storie delle miniere. Di un mondo che non ci si aspetta più in un Paese che sembra aver dimenticato l’elogio della fragilità e dell’imperfezione.
Quelle che producono in realtà le opere più commoventi. Non possiamo rischiare che la creatività si perda nell’indifferenza. Prima fra tutte quella creatività che ci distingue dal resto delle specie animali e che consiste nell’uso della parola. Una parola che sappia creare un mondo al di là del mare e al di là del tempo perché, come qualcuno ha già detto, nessun uomo sia un’isola.
“L’altrove digitale è l’alibi che offriamo alla nostra lenta accettazione del mondo che cambia” (Vivere a “Bassa Risoluzione” – Massimo Mantellini -).
Sta a noi farci portatori del dovere di vivere meglio. E la parola è in questo senso, il nostro reale strumento; quello che può unire il mondo. Se conosciamo e padroneggiamo con coscienza lo strumento che siamo chiamati a usare, allora potremo dirci davvero liberi.
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