(di Filippo Bocci) – In mostra, fino al 22 luglio a Palazzo Cipolla a Roma, una trama di viaggio unico nel suo genere: Sicilia Il Grand Tour, quattrocento acquerelli di Fabrice Moireau, arricchiti, anche nel bel libro edito dalla Fondazione Tommaso Dragotto, dalle parole del giurista e uomo di cultura Lorenzo Matassa.

Nato a Blois, in Francia, nel 1962, Moireau è prima di tutto un viaggiatore, un “cittadino del mondo” e ha già raccontato Parigi, New York, Berlino e dipinto Roma e Venezia, e ancora Firenze, dove ha scelto di vivere.
Questa volta ha percorso la Sicilia da occidente ad oriente, come sempre armato solo della sua attrezzatura, ma con l’animo del cercatore, del curioso.
Passando lo sguardo tra la pletora di acquerelli in esposizione, avvertiamo subito la sua soggettiva peculiare narrazione dell’isola che, nei lucenti colori, si fa microcosmo.
Le città si scompongono all’occhio in castelli, chiese, palazzi, strade, ma anche in pezzi di muro, animali e indistinti esseri umani: abitanti, visitatori?
Non lo sappiamo, e non sappiamo neanche se esistano davvero, protagonisti di una visione dell’artista, impressione del momento, che in quel momento prende vita, e si fissa in opera d’arte senza tempo.
È come se Moireau ci avesse chiamati a teatro per un unicum visivo, una Sicilia che certo esiste ma che, mai come in questo caso, a noi arriva mediata dall’occhio di un demiurgo, che più che raffigurarla la (ri)costruisce, la ripensa, ne cattura aspetti certo reali, ma che fanno parte di un personale irripetibile sogno, di un viaggio, appunto.

La sua meraviglia, come spiega nel presentare la mostra Emanuele F. M. Emanuele, presidente onorario della Fondazione Cultura e Arte, è la stessa dei viaggiatori di fine ‘700, inizi ‘800, fra i quali Goethe, il più famoso, che scriveva:
“È in Sicilia che si trova la chiave di tutto. La purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l’unità armonica del cielo col mare e del mare con la terra… chi li ha visti una sola volta, li possederà per tutta la vita”.

E ancora:
“Sembra che una benda sia caduta dai miei occhi… Ed ora rive e promontori, golfi e baie, isole e lingue di terra, rocce e coste sabbiose, colline boscose, soavi prati, campi fertili, giardini adorni, alberi coltivati, vigne pendenti, monti avvolti dalle nuvole e pianure sempre ridenti, rupi e scogli, mare che tutto circonda con mille cambiamenti, tutto questo è presente al mio spirito e – per me – l’Odissea è una parola vivente…”.

Meravigliose suggestioni queste, presenti negli acquerelli di Moireau, specchio mesmerico della vitale terra siciliana, piena di luce e di suoni che vivono nel tratto dell’artista, mentre il tutto è fissato in una sapiente e particolarissima lettura, che ricrea luoghi unici e ritrae, fuori dal tempo, simboli come l’Elefantino di Catania, assunto quasi a stemma nobiliare.
Moireau crea così una guida per immagini, un partecipe carnet de voyage. E allora, prima della Sicilia reale, c’è una rappresentazione della mente artistica, un’idea dove pensiero e immagine si alimentano fra loro, in un’osmosi continua.
Insomma, una pura “forma platonica”, una Sicilia dell’iperuranio. Un viaggio nel viaggio, un’emozione per occhi curiosi, aperti all’innamoramento.